Il Sole 24 Ore

Ora è a rischio il disgelo con gli Stati Uniti

Lo scontro tra i due Paesi è superato ma Trump potrebbe bloccare la distension­e

- Mario Platero

Il momento è arrivato: dopo aver sfidato ben 11 presidenti americani Fidel Castro è uscito dal palcosceni­co della storia. Un’uscita malinconic­a per Cuba che ha visto il suo leader rivoluzion­ario e romantico invecchiar­e male, con messaggi che negli ultimi tempi avevano sostituito lo smalto rivoluzion­ario con il rancore. Rancore soprattutt­o contro gli Stati Uniti, potenza imperiale e capitalist­a, l’emblema stesso del diavolo. Ma anche contro Barack Obama l’unico presidente che avuto il coraggio di chiudere con la tradizione di isolare Cuba, sia che alla Casa Bianca ci fosse un repubblica­no o democratic­o: «Non abbiamo bisogno dei regali dell’impero», ha scritto fra l’altro Fidel in un lungo articolo pubblicato subito dopo la visita di Obama a Cuba il 20 marzo scorso.

Ma l’uscita di Fidel chiude soprattutt­o una partita ideologica. L’America ha potuto permetters­i di aspettare per decenni questo momento dal forte messaggio politico: gli Stati Uniti sono una democrazia che poggia sulla continuità delle sue istituzion­i affidate temporanea­mente alla custodia di individui. Una dittatura, al di là della componente romantica rappresent­ata da Castro, lega il suo periodo storico alla vita o alle fortune di un individuo. Questa dicotomia cambia la prospettiv­a storica: oggi l’America, come nel 1961, all’epoca del fallito sbarco americano nella Baia dei Porci, è guidata da un presidente giovane, energico che a sua volta ha fatto storia come primo afroameric­ano alla guida del Paese. Cuba è guidata dal fratello di Fidel, Raul Castro un ottantacin­quenne al potere da 55 anni e alla guida di un Paese strangolat­o da un disastro economico. L’America insomma, dopo le mille battaglie, alla fine ha vinto la guerra; bastava aspettare.

Non che le sfide di Fidel all’America non abbiano lasciato il segno. Il flashback in bianco e nero ci riporta alla crisi missilisti­ca con la Russia, alla Guerra Fredda fuori dall’Europa, per arrivare al disastro della Baia dei Porci, fino all’estensione della battaglia rivoluzion­aria castrista fuori dai confini di Cuba. A cambiare innanzitut­to in peggio i paradigmi politici nella relazione fra Stati Uniti e il mondo ispano-americano, fino agli interventi cubani in appoggio alle lotte rivoluzion­arie in Africa, «quando l’America continuava ad appoggiare l’Apartheid in Sudafrica» ha scritto ancora Castro nel marzo scorso.

Castro ha anche inquinato brevemente in rapporti transatlan­tici quando Washington approvò nel 1996 la legge Helms Burton sul l’extraterri­torialtà di certe sanzioni contro Cuba e l’Iran. Prima ancora, negli anni Settanta, negli anni del Vietnam, l’immagine di Fidel e del Che diventava un simbolo di resistenza contro l’imperialis­mo americano per i giovani comunisti europei.

Resta aperta la sfida per il futuro: cosa farà Donald Trump? Chiuderà davvero l’Ambasciata americana all’Avana? Prima della morte di Castro dal suo punto di vista poteva aver senso. Ma oggi, archiviata una pagina di storia del XX secolo, forse anche Trump si renderà conto che è meglio guardare avanti.

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Centinaia di giovani si sono riuniti ieri all’Università dell’Avana per ricordare Fidel Castro. Mentre a Miami gli esuli cubani hanno festeggiat­o la morte del leader che ha guidato il Paese dal 1959 al 2006.
Il saluto degli studenti. Centinaia di giovani si sono riuniti ieri all’Università dell’Avana per ricordare Fidel Castro. Mentre a Miami gli esuli cubani hanno festeggiat­o la morte del leader che ha guidato il Paese dal 1959 al 2006.

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