Quel dialogo privilegiato con il Vaticano
Un cammino di riavvicinamento partito da lontano: dall’incontro con Giovanni Paolo II alla visita di papa Francesco nella casa del «lìder maximo», nel 2015
Non è un caso se tra i pochi Paesi che hanno risposto all’appello di papa Francesco per il Giubileo dei carcerati troviamo Cuba. Forse l’ultimo dono del Líder maximo, di certo l’ennesimo passo di un cammino di riavvicinamento partito da lontano, dove il rapporto tra Castro e i papi ha rivestito un ruolo rilevante, al pari del lavoro diplomatico fra Roma e L’Avana, nonché del dialogo paziente che ha avuto protagonisti il cardinale Ortega y Alamino e più nunzi per far uscire il popolo cubano dall’isolamento.
Proprio gli esiti degli incontri fra il Comandante e i pontefici giunti a Cuba hanno segnato le tappe di questo itinerario che nemmeno ai tempi della Rivoluzione castrista ha visto scomuniche - come quella attribuita falsamente a Giovanni XXIII - o la chiu- sura di canali di comunicazione. Indubbiamente punto di svolta fu la visita di Giovanni Paolo II nel gennaio 1998.Fu lui, che due anni prima aveva ricevuto Castro in Vaticano, ad auspicare all’Avana «possa Cuba aprirsi al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba», chiedendo insieme a maggior libertà per il popolo e la Chiesa, la fine dell’embargo. Proprio di quella visita e non solo ebbi occasione di parlare con Castro il 9 marzo 2003. Di Wojtyla apprezzava «lo spirito ecumenico» e l’essere «un alfiere della Pace». «È il suo contributo: il mondo ha bisogno di unità», mi ribadì nel Palazzo della Rivoluzione. «È l’umanità in pericolo», da qui «l’importanza dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso e per la pace» ma per «l’umanità intera». «Wojtyla - aggiungeva - ha trasformato la storia». Nell’intervista chiesi quali temi ricordasse tra quelli affrontati con Giovanni Paolo II. La risposta toccò subito il ritorno del Natale poi istituzionalizzato per tutti dall’Ufficio politico del PCC.
Castro rammentava ancora invece i «fortissimi scontri tra i membri di diverse religioni» quand’era studente. Anche di questo aveva parlato con Wojtyla cui riconosceva di aver «portato in primo piano la globalizzazione della solidarietà». In quell’occasione mi dimostrò di aver seguito più fasi del pontificato di Giovanni Paolo II. Gli chiesi se avesse sempre seguito l’attività del Papa e mi sorpresi quando confessò: «Prima della sua visita a Cuba volli essere ben informato, le mie informazioni erano insufficienti. Non sapevo con esattezza chi fosse il Papa». «Che cosa fa un Papa?», domandò ancora nel marzo 2012 a Benedetto XVI incontrandolo nella nunziatura dell’Avana, ormai passate le consegne al fratello Raul. Non senza ringraziarlo per le beatificazioni di madre Teresa e Giovanni Paolo II. Anche dopo quella visita non mancò un segnale da Cuba: Raul concesse il Venerdì Santo come festa civile. Certamente, dall’anno dopo, Fidel non avrebbe più fatto domande simili a papa Francesco. Con l’arrivo del papa latinoamericano, delle periferie, dei poveri, dell’approccio multilaterale ai problemi del mondo, per Cuba il Vaticano è diventato ancor più interlocutore privilegiato. E la strategia del dia- logo ha favorito il disgelo anche con gli Usa. Un lavoro di piccoli passi. Memorabile l’incontro fra Bergoglio e Castro a casa sua, il 20 settembre 2015: quasi che la storia latinoamericana del ’900, dalla rivoluzione cubana alla teologia della liberazione e del popolo di Dio si fosse data appuntamento lì.
Tra le opere recate in dono a Fidel la Laudato sì. Tra i temi affrontati la salvaguardia dell’ambiente. Ne avevo parlato con Castro a partire dalla Pacem in terris. Mi aveva detto: «Sono incredibili le somme che si spendono per creare società avendo risorse naturali che non potrebbero mai sostenerne i modelli di consumo. L’umanità è raddoppiata. Le acque potabili e l’atmosfera sono contaminate... Ciò riguarda queste società». E congedandomi concluse: «Il cristianesimo ha portato un’etica. Non era mai esistita. Per questo l’idea dell’unità e dell’etica sono importanti. È importante camminare verso un’etica universale». Così il pensatore. Ora però sarà la Storia a giudicarlo. Ma guardando i fatti.
LA SVOLTA ALL’AVANA Fu papa Wojtyla, nel 1998, ad auspicare che Cuba potesse «aprirsi al mondo e il mondo a Cuba», e a chiedere più libertà per il popolo e per la Chiesa