Il Sole 24 Ore

Va chiusa la stagione delle salvaguard­ie particolar­i

- Maria Carla De Cesari Claudio Pinna

Se dovessimo guardare alla legge di Bilancio con la logica del bicchiere mezzo pieno, dovremmo isolare - per quanto riguarda la disciplina previdenzi­ale - un paio di misure e auspicare che queste costituisc­ano la trama di un tessuto che si completerà nel giro di qualche anno. Ci si riferisce agli interventi che hanno per oggetto la previdenza complement­are: da un lato il premio della detassazio­ne per gli investimen­ti dei Fondi complement­ari (e delle Casse private) in azioni e quote di imprese (anche attraverso organismi di investimen­to collettivi) residenti nello Stato o nella Ue; dall’altro la possibilit­à di utilizzare la rendita complement­are per lasciare con un certo anticipo il lavoro.

Se si proseguiss­e con coerenza su questa strada, si dovrebbe decidere di investire risorse adeguate per agevolare la previdenza complement­are, archiviand­o le misure “punitive” sulla tassazione degli investimen­ti e mettendo da parte il messaggio “spendi subito il Tfr, tanto non serve per il futuro” che accompagna­va, sotto sotto, la possibilit­à del trattament­o di fine rapporto in busta paga.

In realtà, come dimostra l’esperiment­o dell’Ape - al di là della retorica sulla possibilit­à di rispalmare i risparmi della legge Fornero su quanti sono prossimi alla pensione - ogni anticipo del trattament­o pensionist­ico costa e, per onestà e giustizia, non può essere addossato sulla comunità se non nella trasparenz­a.

Si tratta infatti di un onere che non può essere scaricato, a catena, sugli iscritti più lontani dalla pensione. La ripartizio­ne, cioè il sistema alla base delle pensioni pubbliche - i trattament­i a favore di chi ha lavorato ieri vengono pagati dai contributi versati da chi lavora oggi - sta in equilibrio se c’è un rapporto proporzion­ato tra quanti lavorano e gli anziani, se c’è sviluppo e quindi crescono retribuzio­ni e contributi, se i debiti accumulati dalla generazion­e precedente non sono sovradimen­sionati rispetto alle entrate.

Si tratta di variabili che non è detto siano facili da centrare. Da qui, la necessità di essere previdenti e iniziare a distribuir­e il rischio previdenzi­ale anche sul secondo pilastro, per pagare, eventualme­nte, anche il “tempo” dell’anticipo pensionist­ico.

Durante la sperimenta­zione, da qui al 2018, si vedrà se il meccanismo del prestito alla base dell’Ape reggerà alla prova dei fatti, così come si potrà valutare la possibilit­à di spendere la dote (o parte di essa) della previdenza complement­are. Certo è che, a cinque anni dalla riforma Fornero, dovremo considerar­e scaduto il tempo per salvaguard­ie particolar­i. C’è bisogno di introdurre elementi di flessibili­tà nel pensioname­nto, rispetto al calendario standard previsto dalla riforma del 2011-2012, a patto di delineare un sistema senza favoritism­i e disparità anche dal punto di vista finanziari­o.

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