Va chiusa la stagione delle salvaguardie particolari
Se dovessimo guardare alla legge di Bilancio con la logica del bicchiere mezzo pieno, dovremmo isolare - per quanto riguarda la disciplina previdenziale - un paio di misure e auspicare che queste costituiscano la trama di un tessuto che si completerà nel giro di qualche anno. Ci si riferisce agli interventi che hanno per oggetto la previdenza complementare: da un lato il premio della detassazione per gli investimenti dei Fondi complementari (e delle Casse private) in azioni e quote di imprese (anche attraverso organismi di investimento collettivi) residenti nello Stato o nella Ue; dall’altro la possibilità di utilizzare la rendita complementare per lasciare con un certo anticipo il lavoro.
Se si proseguisse con coerenza su questa strada, si dovrebbe decidere di investire risorse adeguate per agevolare la previdenza complementare, archiviando le misure “punitive” sulla tassazione degli investimenti e mettendo da parte il messaggio “spendi subito il Tfr, tanto non serve per il futuro” che accompagnava, sotto sotto, la possibilità del trattamento di fine rapporto in busta paga.
In realtà, come dimostra l’esperimento dell’Ape - al di là della retorica sulla possibilità di rispalmare i risparmi della legge Fornero su quanti sono prossimi alla pensione - ogni anticipo del trattamento pensionistico costa e, per onestà e giustizia, non può essere addossato sulla comunità se non nella trasparenza.
Si tratta infatti di un onere che non può essere scaricato, a catena, sugli iscritti più lontani dalla pensione. La ripartizione, cioè il sistema alla base delle pensioni pubbliche - i trattamenti a favore di chi ha lavorato ieri vengono pagati dai contributi versati da chi lavora oggi - sta in equilibrio se c’è un rapporto proporzionato tra quanti lavorano e gli anziani, se c’è sviluppo e quindi crescono retribuzioni e contributi, se i debiti accumulati dalla generazione precedente non sono sovradimensionati rispetto alle entrate.
Si tratta di variabili che non è detto siano facili da centrare. Da qui, la necessità di essere previdenti e iniziare a distribuire il rischio previdenziale anche sul secondo pilastro, per pagare, eventualmente, anche il “tempo” dell’anticipo pensionistico.
Durante la sperimentazione, da qui al 2018, si vedrà se il meccanismo del prestito alla base dell’Ape reggerà alla prova dei fatti, così come si potrà valutare la possibilità di spendere la dote (o parte di essa) della previdenza complementare. Certo è che, a cinque anni dalla riforma Fornero, dovremo considerare scaduto il tempo per salvaguardie particolari. C’è bisogno di introdurre elementi di flessibilità nel pensionamento, rispetto al calendario standard previsto dalla riforma del 2011-2012, a patto di delineare un sistema senza favoritismi e disparità anche dal punto di vista finanziario.