Sopravvissuti con l’aiuto di Chavez e di Putin
La “via al socialismo” , di cui il leader cubano si era proclamato alfiere nel luglio 1960, a un anno dal suo avvento al potere dopo la caduta della dittatura del regime di Fulgencio Batista, intendeva essere diversa tanto da quella sovietica che da quella cinese. Proveniente da una famiglia della borghesia e formatosi in un collegio dei gesuiti, Castro aveva per suoi precipui riferimenti politico-ideologici il radicalismo illuminista di Rousseau e il progressismo democratico del patriota cubano antispagnolo Josè Marti. E benchè avesse divorato gli scritti di Marx e Lenin, i suoi propositi iniziali erano di fare di Cuba (che i suoi “barbudos” avevano affrancato dal controllo delle compagnie americane sulle piantagioni di zucchero e da una succursale della mafia) un modello esemplare per l’emancipazione anche del resto dell’America Latina da una sorta di “cortile di casa” degli Usa.
Senonché, la nazionalizzazione con indenizzi pressochè simbolici delle multinazionali americane e l’embargo economico degli Usa contro Cuba indussero Castro a chiedere aiuto a Mosca. Ma l’accordo nel febbraio 1966 con qui l’Urss garantiva l’acquisto di un primo lotto di zucchero e un prestito a esegui tassi d’interesse fu il prologo dell’installazione nell’isola di basi missilistiche sovietiche e del tentativo, nell’aprile dell’anno dopo, di un migliaio di volontari anticastristi addestrati dalla Cia, andato totalmente a vuoto, di defenestrare il regime di Fidel, a cui fece seguito la “crisi dei missili” che rischiò di precipitare il mondo in una guerra nucleare, neutralizzata in extremis da un compromesso fra Kennedy e Kruscev.
Da allora il leader di una rivoluzione che appariva nazionalpopolare seguitò ad alimentare le aspettative in una sorta di socialismo eccentrico, congeniale alle specifiche connotazioni del subcontinente americano. D’altronde il proclama del “lìder màximo” di voler creare in America Latina “dos, tres muchos Vietnam”, e l’esistenza di un avamposto sovietico a un braccio di mare dalla Florida continuarono a rappresentare una spina nel fianco di Washington. In realtà il castrismo non costituiva un modello efficace esportabile altrove. Poiché la sua economia pianificata cubana ricalcata su quella sovietica non sarebbe riuscita a reggersi se non fosse stata sorretta da un’economia sommersa e parallela, consistente in una serie di traffici più minuti al di fuori dei circuiti ufficiali e nei proventi ricavabili da una doppia circolazione monetaria.
Di fatto, se il carisma di Fidel sopravvisse, soprattutto in alcuni ambienti culturali e politici europei, Cuba si trovò a tirare avanti dopo l’estinzione dell’Urss, dapprima, grazie ai larghi aiuti del Venezuela di Chavez (con il suo “socialismo alla benzina” e poi grazie alla cancellazione nel 2014, da parte della Russia di Putin, di quasi tutto il debito contratto con il Cremlino e di qualche ulteriore investimento di Mosca nell’isola).