Ricorsi velleitari, si perde tempo si spreca denaro
Le questioni di manifesta inammissibilità sono quelle sollevate senza fornire alla Corte la benchè minima piattaforma di giudizio per entrare nel merito della questione. La dottrina fa rilevare che nel giudizio di manifesta inammissibilità la Corte esprime nel suo magistero una specie di biasimo al giudice remittente. Le questioni dichiarate manifestamente inammissibili entrano tutte nell’elenco che la Corte ha indicato come questioni da non sollevare. Fra queste entrano le questioni che investono l’intero provvedimento legislativo senza individuare le norme la cui presenza nell’ordinamento determinerebbe la lesione della Costituzione. Questo tipo di questioni sono molto diffuse fra quelle sollevate dalle commissioni tributarie. Il risultato non è tanto la decisione di manifesta inammissibilità ma il tempo e il denaro persi.
È stata dichiarata manifestante inammissibilità la questione sollevata dalla Commissione provinciale di Reggio Emilia (213 settembre 2014, Gu prima serie speciale 2016, n. 43) relativa all’ordinamento e alla organizzazione delle Commissioni tributarie.
La questione è stata ritenuta dalla Corte (227/2016) indeterminata e ambigua e di conseguenza, secondo la costante giurisprudenza costituzionale inammissibile.
L’ordinanza di rimessione ha investito l’intero ordinamento e organizzazione della giustizia tributaria, ritenendoli incompatibili con la garanzia di indipendenza anche apparente dei giudici, come richiesto dalla giurisprudenza della Cedu. Tali questioni sono: disponibilità dei mezzi necessari della giurisdizione tributaria affidata alla stessa amministrazione cui appartengono le autorità che emettono gli atti di imposizione, anziché al giudice tributario; la gestione dei mezzi materiali per l’esercizio della giurisdizione tributaria alla stessa autorità che emette gli atti impositivi; la mancanza di autonomia di gestione finanziaria e contabile delle commissioni tributarie; inadeguatezza dei compensi spettanti ai giudici; il divieto fatto ai giudici di astenersi per difetto di apparenza causato da ragioni ordinamentali, al fine di evitare decisioni nulle per vizio di costituzione del giudice; l’attribuzione in via esclusiva al ministero delle Finanze della gestione amministrativa-contabile degli stanziamenti alla giustizia tributaria e dei capitoli di spesa delle commissioni tributarie; l’assetto organizzativo analogo a quello già censurato dalla Corte Cedu per violazione dell’articolo 6, 1) paragrafo. Le norme censurate sarebbero gli articoli 2,15,31,32,33,34 e 35 del Dlgs n. 545/1992. Le norme costituzionali violate sarebbero gli articoli 100,101 e 117 in relazione al parametro introdotto dell’articolo 1 della Cedu.
Un’altra ragione di inammissibilità deriva dal fatto che il giudice a quo «ha chiesto alla Corte plurimi interventi creativi, caratterizzati da un grado di manipolatività tanto da investire, non singole questioni o il congiunto operare di esse, ma un intero sistema di norme, come quello che disciplina le attribuzioni dei giudici tributari e del personale delle segreterie, non che il sistema organizzativo delle risorse umane e materiali della giustizia tributaria ovvero il sistema che regola il trattamento retributivo del giudice». Ora, dice la Corte, in linea di principi gli interventi manipolativi di sistema sono estranei alla giustizia tributaria poiché eccedono i poteri di intervento della Corte implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore. Insomma l’ordinanza è una censura politica al processo tributario. Sul piano tecnico le censure investono in modo indifferenziato le disposizioni che prevedono la composizione degli organi giurisdizionali del contenzioso, la vigilanza sui giudici, e le relative sanzioni disciplinari, sia tutte le disposizioni che regolano gli uffici di segreteria delle commissioni tributarie «senza indicare specificamente i termini nei quali ciascuna di esse violerebbe i parametri invocati». Le questioni sono genericamente poste «in difetto di qualsiasi argomento che consenta di collegare le singole norme evocate ai precedenti parametri». In conclusione la costante giurisprudenza costituzionale, l’eterogeneità degli oggetti della norma censurata e la carenza di una reciproca e intima connessione tra essi non consente di introdurre validamente un giudizio di legittimità costituzionale e determina la (manifesta) inammissibilità della questione. È stato dichiarato altresì inammissibile l’intervento dell’Associazione magistrati tributari.
La manifesta inammissibilità delle questioni di costituzionalità è diventata un problema. La colpa è anche dei professionisti che considerano tali questioni come l’ennesima impugnazione. So che non c’è nulla da fare se non la conoscenza del diritto tributario costituzionale.
Speriamo che se ne tenga conto nella riforma del contenzioso tributario con riguardo alla preparazione professionale dei giudici.