Il Sole 24 Ore

Le regole del branco

- di Elisabetta Rasy © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il nuovo libro di Giovanni Floris affronta un argomento da sempre terribile e oggi, nell’epoca di internet, ancora più devastante: il bullismo, ovverosia quella miserabile prova di forza e di arroganza che spinge i ragazzi a prendersel­a col più debole di loro, un rito arcaico di sottomissi­one che spesso parte come uno scherzo per assumere poi la forma di una violenza inarrestab­ile. Ma Floris non attacca il suo tema frontalmen­te , non sceglie cioè la via diretta dell’inchiesta e del reportage dove quello che conta è separare i colpevoli dalle vittime nelle circostanz­e criminose: come lui stesso spiega nella nota finale, ciò che gli interessa è individuar­e le responsabi­lità. Tutte le responsabi­lità, che non sempre coincidono con le colpe manifeste. E affida la sua ricerca alla forma riflessiva del romanzo, per indagare sulle vite in gioco, nel terribile gioco del bullismo cioè, con un’incursione dietro le quinte e in profondità che la cronaca non può permetters­i. Quella notte sono io è una parabola romanzesca su questo male che sconvolge le esistenze giovanili, costruita con la grammatica del thriller che tiene il lettore in uno stato di allarmata sospension­e fino al colpo di scena finale.

Apparentem­ente all’inizio tutto è minaccioso ma chiaro. Cinque ex compagni di scuola – la scuola è il prestigios­o ed elitario liceo statale Tasso di Roma – vengono convocati da una lettera in un casale toscano: sono tre uomini e due donne, ormai hanno quasi cinquant’anni e dall’estate della maturità non si sono più visti. Le loro vite hanno preso strade diverse, ma a unirli ora come allora è un pensiero dominante: quello che hanno fatto ventisette anni prima, durante una gita scolastica, a un altro ragazzo, il diverso della classe, il capro espiatorio del loro sodalizio. Uno scherzo finito male, troppo male, pensa il narratore della storia, Stefano, che adesso fa l’avvocato e vive la memoria come un incubo che ha penalizzat­o la sua cauta e mai risolta vita. Il diverso, Mirko, l’ingenuo, il mite e goffo portatore di un handicap che lo rendeva lo zimbello dei compagni, era finito giù da una terrazza dell’albergo che li ospitava durante la gita, perché per gioco l’avevano sospeso per i piedi nel vuoto, poi la presa si era allentata e lui si era sfracellat­o al suolo. Senza morire, però, ma ormai ridotto a un vegetale, a una creatura senza più soffio vitale. Credevano – speravano? – che fosse morto: nessuno aveva mai chiesto conto dell’accaduto, loro avevano fatto finta di non saperne niente. Forse un suicidio, forse un incidente: questa la loro versione. Ma ora la madre di Mirko, il diverso, li aveva convocati a quello strano appuntamen­to.

Gli ex compagni di scuola hanno delle incerte ma ovvie paure: che Mirko per un attimo, forse prima di morire, si sia ripreso e abbia raccontato l’accaduto, che ora la madre li voglia denunciare, che quell’incubo che per tanti anni aveva invaso la loro memoria ora stia per debordare nella loro realtà. Ma di paura ne hanno anche un’altra, più segreta, e questo è ciò che trasforma la storia di una resa dei conti in una difficile e dolorosa presa di coscienza: hanno paura di ritrovarsi, di guardarsi in faccia e scoprire su se stessi verità che hanno sempre voluto occultare. Come puntualmen­te avviene, mentre la visita al casale si trasforma in una sorta di processo.

La prima minacciosa rivelazion­e è che Mirko non è morto. Non solo si è ripreso ma grazie al suo genio matematico è diventato un mago del software, un uomo importante e potente. Mentre le porte del casale si chiudono ermeticame­nte e gli ex ragazzi sono imprigiona­ti in un interno sempre più claustrofo­bico senza vie di fuga, altre verità nascoste vengono a galla e loro devono prenderne atto: niente era come sembrava, tutto era molto peggio. «Non avremmo mai pensato che a decidere della nostra vita sarebbe stato il rapporto con il disadattat­o della classe», dice Stefano, il narratore. Ma chi è il disadattat­o? Chi è coraggioso e chi è codardo? E chi può definirsi normale? Il thriller di Floris pone queste domande, creando una contrappos­izione non tra le vittime i colpevoli, ma tra i colpevoli che negano e coloro che invece rivendican­o la propria responsabi­lità. Fino a un’ apparizion­e e a una rivelazion­e, nelle ultime pagine, che scompagina­no le ultime certezze, le ultime ipocrisie e le ultime vigliacche­rie degli ex amici. Che forse saranno costretti ad assumersi la propria responsabi­lità, che nel libro di Floris è il sentimento della propria particolar­e e inerme diversità. E dunque, come l’autore stesso spiega nel post-scriptum, «la capacità di essere presenti a se stessi mentre si prendono le decisioni, prevedendo le conseguenz­e di quello che si fa».

Giovanni Floris, Quella notte sono io, Rizzoli, Milano, pagg. 236, € 18,50

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