Il Sole 24 Ore

Un maestro anche nel racconto

- di Michele De Mieri © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Una giornata, a volte pochi attimi, della vita di un uomo o di una donna, più spesso della loro relazione di coppia, su questi momenti vertono i dieci racconti di L’ultima notte, ad oggi l’ultimo libro che viene dal passato (uscì negli Stati Uniti nel 2000) a firma James Salter. Dopo i quattro romanzi, tutti all’insegna di uno stile e di una musica unici - su cui certamente spicca, resta indelebile nella memoria del lettore, Tutto quel che è la vita - scopriamo ora anche una maestria nel racconto; non era scontato perché il passo del romanzo con la sua cadenza più dilatata sembrava la cifra principe della penna di Salter, scomparso lo scorso anno a novant’anni.

Leggi Salter e incontri uomini e donne, spesso di successo, almeno secondo gli standard dei loro desideri, esistenze vitali, ricche di seduzione ed erotismo, resoconti di giorni in cui la felicità spazza via le esitazioni di ogni tipo, sembra un’America tutta luce, forza e pienezza di vita. Sembra. Poi entra in scena una sorta di “blue Salter”, una malinconia, una tristezza (quasi una depression­e) che avvolge il presente, ipoteca il futuro. Come nell’iper americano mondo dei dipinti di Hopper anche in Salter la solitudine è il tratto più marcato dell’uomo (e della donna) di quel paese. L’amore è l’uragano delle relazioni nei racconti di L’ultima notte, l’erotismo il suo aspetto più inebriante; tutto sembra per sempre lì a portata di mano, poi questo stato cade, s’infetta di normalità, e Salter è chirurgico nel descrivere l’insorgere della fine della febbre, sa con le sue precise parole come portare sulla pagina le delusioni: “Quando incontravi qualcuno di tremendame­nte affascinan­te, seppure non perfetto, potevi credere che dopo il matrimonio saresti riuscito a cambiarlo, non in tutto, solo in alcune piccole cose, ma in realtà il massimo che ti potevi aspettare era di modificare forse una cosa sola, e anche quella prima o poi sarebbe ritornata com’era quando vi eravate incontrati”, così in “La rinuncia”, il racconto dei difetti all’inizio irrilevant­i poi non più sostenibil­i. Nella levigata accorta lucentezza della prosa di Salter si muovono individui che non sono segnati da traumi sociali, bastano quelli privati, sentimenta­li, i rimpianti (che sono residui di vite vissute parzialmen­te o malamente) sono cronici: “Il passato, come un’ondata improvvisa, lo aveva travolto, non così com’era stato ma come lui non poteva fare a meno di ricordarlo” (“Bangkok”), e ancora “Pensò all’amore che aveva riempito la parte centrale della sua vita e al fatto che non avrebbe mai più incontrato una donna come lei. Non capiva cosa gli fosse preso, e scoppiò in lacrime” (“Palm Court”). Pian piano si procede verso il baratro ( il racconto che dà il titolo alla raccolta è lì ad attendere il lettore ignaro) e in Salter non è mai un epilogo letale, ma non è detto che faccia meno male.

James Salter, L’ultima notte , traduzione di Katia Bagnoli, Guanda, Milano, pagg. 175, € 15

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