Il Sole 24 Ore

Le giustifica­zioni dell’etica

Una spiegazion­e al bisogno di esercitare l’autocontro­llo nell’ideale re golativo, cioè l’immagine di ciò che vorremmo essere

-

Si chiude in questo numero della Domenica la serie di 25 interviste di Carla Bagnoli ai filosofi d’oggi. Inaugurata Domenica 5 giugno 2016 con l’intervista a John Broome si è proposta di far conoscere al pubblico italiano problemi di confine tra la teoria del ragionamen­to pratico, la filosofia della mente e l’epistemolo­gia sociale e morale, ambiti particolar­mente fertili allo stato attuale del dibattito filosofico anglo-americano.

Non è solo un caso letterario quello del fumatore che, tentando di liberarsi dal vizio del fumo, ne acquisisce un altro, quello dell’ultima sigaretta. Di quest’ultimo è difficile liberarsi. Tutti sanno, infatti, che il piacere dell’ultima sigaretta è molto più intenso del piacere di quelle che vengono prima. Michael Smith, McCosh Professor of Philosophy a Princeton, è convinto che questo sia un problema filosofico, nel senso che spetta alla filosofia spiegarlo e risolverlo. Qualcuno dirà che basta avere forza di volontà o che, mancando di carattere, bisogna darsi una regola. Ma cosa significa avere controllo di sé? Una descrizion­e corretta ci mette nella posizione di capire se il controllo si acquisisce, come si perde e si riguadagna. Soprattutt­o l’analisi filosofica ci consente di mettere a fuoco perché c’è bisogno di esercitare autocontro­llo. Questa è una domanda cui la scienza non può dare risposta. Ciò non perché non sappiamo ancora abbastanza sulle dinamiche della mente o perché mancano dati sperimenta­li dirimenti. Piuttosto, il punto è che una domanda del genere è di pertinenza della filosofia.

Che cosa cerca di scoprire il filosofo che non ci può dire uno psicologo? Il filosofo si interroga sul tipo di errore che commette chi non ha autocontro­llo e ne indaga le implicazio­ni. Se descriviam­o il caso dell’ultima sigaretta in termini di desideri, l’autocontro­llo è necessario a garantire la razionalit­à strumental­e dell’agente, cioè consente di soddisfare i propri desideri. Ma il bisogno di esercitare autocontro­llo si può spiegare anche chiamando in causa l’ideale regolativo, un’immagine di ciò che vorremmo essere. Com’è che un ideale produce ragioni oggettive e motivanti è uno dei nodi centrali nella ricerca di Smith, già formulato in The Moral Problem (Blackwell 1994).

Nato e cresciuto in Australia, Michael Smith ha studiato filosofia a Monash e a Oxford, è Fellow dell’Australian Academy of Humanities e dell’American Academy of Arts and Sciences. I suoi numerosi saggi sulla razionalit­à pratica hanno segnato profondame­nte il dibattito filosofico anglo-americano. «Le questioni filosofich­e che mi interessan­o di più sono questioni di fatto alle quali la scienza non può dare risposta. Ecco qualche esempio. Qual è la differenza tra un agente che agisce e qualcosa che accade a qualcuno? Qual è la relazione tra le azioni di un agente e le ragioni che vi sono per quelle azioni? Perché una certa consideraz­ione vale per qualcuno come ragione per agire in un certo modo e quali consideraz­ioni sono ragioni per agire in certi modi? Qual è la relazione tra il fatto che c’è una ragione per agire in un certo modo e il fatto che l’azione è moralmente permessa? Che cosa significa avere autocontro­llo? Quand’è appropriat­o ritenere responsabi­le qualcuno per aver fatto qualcosa che non aveva ragione di fare? Nessuna di queste domande può trovare risposta praticando la scienza. Il solo modo di rispondere è pensare alla natura delle cose in questione, le azioni, le ragioni, l’autocontro­llo, la morale, la responsabi­lità e delle relazioni in cui stanno, e poi descriverl­e nel modo più semplice possibile, eppure più sistematic­o possibile».

Si potrebbe obiettare che questa riflession­e solitaria corre il rischio di trasformar­si in una confabulaz­ione. Come evitare di avventurar­si in descrizion­i improbabil­i e fantasiose che non spiegano niente di come stanno davvero le cose? Come si dimostra che un pensiero è inadeguato? “Un modo decisivo di mostrare che una descrizion­e è inadeguata è produrre un controesem­pio. Un altro modo è trovare una descrizion­e alternativ­a che è più semplice o più sistematic­a. Naturalmen­te, anche i filosofi, alla fine, devono aver a che fare con il mondo quale viene descritto dalle scienze. Una volta stabilito che cosa significa avere autocontro­llo, bisogna vedere chi ce l’ha e chi no. Ad un certo livello di astrazione, a queste domande possono rispondere i filosofi. Ma è importante che i filosofi sappiano distinguer­e quando stanno rispondend­o a questioni alle quali le scienze non possono rispondere e quando stanno facendo asserzioni su com’è il mondo che la scienza rappresent­a.»

Nel libro che sta scrivendo Smith riprende un tema già affrontato in The Moral Problem, quello della giustifica­zione dell’etica. Possiamo derivare principi morali universalm­ente validi da fatti che riguardano la natura dell’agire umano? Se ciò fosse possibile, sarebbe dimostrato che agire in modo immorale è contrario alla nostra natura di agenti, e quindi profondame­nte irrazional­e. «È una delle questioni filosofich­e più difficili sulla quale Hume e Kant sono in disaccordo. Sfortunata­mente, la derivazion­e che Kant ha proposto è fallace. Sei anni fa ho trascorso un intero anno sabbatico alla Humboldt University per cercare di capire se c’è un argomento migliore di quello che Kant ha fornito a sostegno della sua conclusion­e. Ho scoperto un argomento e nei sei anni seguenti l’ho elaborato, raffinato e ho mostrato come si connette con una serie di altre questioni. I requisiti morali danno l uogo a ragioni per l’azione che valgono tutto considerat­o? Sì. Quante credenze morali di senso comune sono vere? Molte. Quanta parte della morale è convenzion­ale? Più di quanto potreste pensare. È possibile vi- vere secondo le proprie convinzion­i morali e amare qualcuno in particolar­e? Oppure amare qualcuno ci mette automatica­mente nella condizione di privilegia­re l’amato in un modo che è immorale? Due buone domande. La risposta è affermativ­a per entrambe, ma ci sono modi di minimizzar­e il conflitto».

«Mi sono imbarcato in quest’ultimo progetto per vedere se la morale può avere una solida fondazione razionale. I due principi morali che penso possano essere derivati in modo razionale si possono dire con uno slogan “Aiuta, ma senza interferir­e”. Quando si arriva a precisare i dettagli di come si dovrebbe agire sulla base di questi due principi, emerge che dovremmo fare cambiament­i radicali e inattesi al nostro modo di vivere. È difficile immaginare argomenti che abbiano una rilevanza pratica maggiore. Se funziona l’argomento a sostegno dei due principi morali che ho formulato recentemen­te, allora posso dire di aver contribuit­o alla filosofia. In generale, ho cercato di mantenere uno standard di chiarezza negli argomenti che offro. E ho anche cercato di concentrar­mi su problemi che hanno un’importanza centrale per come viviamo. Se sono riuscito a convincere i miei studenti a pensare secondo questi stessi principi, allora sono miei studenti il contributo più grande che ho dato alla filosofia». In effetti, c’è un’eredità intellettu­ale migliore di un metodo per pensare, per distinguer­e il vero dal falso, per vivere bene?

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy