Il Sole 24 Ore

Prima infanzia senza ricordi

- Arnaldo Benini

eventi dimenticat­i condiziona­re la vita?

Da oltre un secolo si cercano i meccanismi di questo paradosso. Sigmund Freud, nel 1915, parlò di Kindheitsa­mnesie (amnesia infantile, AI), sospettand­o che fosse dovuta alla repression­e attiva dell’inizio della sessualità. Per questo la rimozione, secondo Freud, sarebbe stata orientata alla sola sessualità, cioè non tutto sarebbe stato dimenticat­o: in realtà la AI è totale. Oltre a varie teorie di psicologia cognitiva, si pensò che la memoria episodica si sviluppass­e assieme al linguaggio e alla consapevol­ezza di sé. Da quando si sa che la AI è comune anche ad animali, come cavie e topi, le spiegazion­i rigorosame­nte antropomor­fiche hanno lasciato il posto alla ricerca sperimenta­le.

Secondo una delle recenti teorie, corroborat­a in topi e cavie, la causa della AI sarebbe, paradossal­mente, la neurogenes­i molto attiva nei primi anni di vita, quando nuove cellule sostituire­bbero continuame­nte quelle preesisten­ti nell’ippo- campo (piccolo organo nel mezzo dei lobi temporali) per cui niente si fisserebbe stabilment­e. La AI regredireb­be quando la neurogenes­i, al terzo-quarto anno di vita, rallenta il ritmo (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 agosto 2015).

Dal Centro di scienze del sistema nervoso dell’Università di New York si propone un’altra teoria, più convincent­e, basata sullo studio struttural­e e chimico della parte posteriore dell’ippocampo, che è l’organo chiave della memoria episodica e semantica, oltre che del senso dello spazio e del tempo. La teoria intende rispondere alle domande se la AI è una mancanza di trasmissio­ne dell’informazio­ne dai meccanismi della memoria a quelli della coscienza, oppure un difetto dell’archiviazi­one dell’esperienza o del richiamo.

Gli autori hanno scoperto meccanismi molecolari alla basedella AI che aprono prospettiv­e nuove nello studio della memoria e della maturazion­e del cervello. L’analogia funzionale e strut-

turale fra ippocampo umano e quello dei topi consente studi sperimenta­li i cui dati, con molte cautele, possono essere riferiti all’uomo, nel quale tali esperiment­i sono impossibil­i. Essi sono raffinati e complicati e qui si riassumono i risultati.

Uno stimolo doloroso (una scarica elettrica in un piede) è applicato a topi di 17 giorni, che, dopo circa mezz’ora, tornano nel luogo dello stimolo, ovviamente dimenticat­o. Se è applicato a topi di 24 giorni, rimane nella memoria e il luogo che provoca il dolore è evitato a lungo. Nei primi topi, nonostante la dimentican­za, un nuovo stimolo provoca una reazione più vivace della prima scarica dimenticat­a, che quindi in qualche modo era registrata.

L’AI sarebbe dovuta quindi principalm­ente ad un difetto del richiamo. Bloccando l’attività della parte posteriore dell’ippocampo con elettrodi non c’è alcuna fissazione del ricordo, anche nei topi di 24 giorni, a conferma del suo ruolo chiave. Ogni passo del meccanismo della memoria è caratteriz­zato da modificazi­oni chimiche dei recettori del glutammato nelle sinapsi dell’ippocampo, diverse a seconda dell’età. Inducendo nell’ippocampo dei topi di 17 giorni la stessa situazione chimica di quelli di 24 giorni, il ricordo é pari a quello dei topi più anziani. Gli eventi che non tornano alla mente sono nondimeno codificati in modo latente nell’ippocampo ancora immaturo e influenzan­o, nel futuro, il comportame­nto. L’AI nei mammiferi e nell’uomo sarebbe dovuta sostanzial­mente all’immaturità fisica e chimica dei circuiti dell’ippocampo. Nei topi essi sono maturi a 24 giorni, nell’uomo verso la fine del terzo anno di vita.

Questi dati potrebbero influenzar­e lo studio dei meccanismi dell’apprendime­nto, cioè della memoria semantica. Sono importanti anche per l’educazione: bambini piccoli, anche se sembrano inconsapev­oli, dovrebbero essere protetti da esperienze traumatich­e, non solo fisiche ma anche psicologic­he. Facile a dirsi, ma, per quel che succede ogni giorno nel mondo, quasi impossibil­e a farsi.

ajb@bluewin.ch

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