Il Sole 24 Ore

Agire con intelligen­za

- di Nunzio Galantino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Mio nonno mi disse una volta che ci sono due tipi di persone: quelli che fanno il lavoro e quelli che si prendono il merito. Mi disse di cercare di essere nel primo gruppo; ci sarà sempre molta meno competizio­ne» (Indira Gandhi).

Dal latino meritum (cosa meritata) o merere (acquistare, guadagnare), il vocabolari­o declina la voce «merito» con diritto alla stima, alla riconoscen­za, alla giusta ricompensa acquisita in virtù delle proprie capacità, impegno, opere, prestazion­i, qualità, valore. «In virtù …»; sta qui la forza ed il senso vero del “merito”. Si capisce allora perché il laburista inglese Michael Young, nel 1954, creò il termine “meritocraz­ia”, affermando che essa equivale alla somma dell’intelligen­za (intesa in senso “sociale” e non solo come quoziente intelletti­vo) e degli sforzi profusi per raggiunger­e un obiettivo. Sicché, a differenza di quello che comunement­e si pensa, il merito è “sempliceme­nte” il frutto di azioni consapevol­i realizzate con intelligen­za, sensibilit­à e passione. Non necessaria­mente il “merito” così inteso comporta riconoscim­ento o successo. «Il successo – ha scritto Victor Hugo - è una cosa piuttosto lurida; la sua falsa somiglianz­a col merito inganna gli uomini». Ed è di questo inganno che vive gran parte della vita pubblica e delle relazioni tra gli uomini. Quanti uomini e donne di successo sono davvero meritevoli? «Si ergo gratis - affermava Sant’Agostino - nihil tu attulisti, nihil meruisti ( En. in Ps., 118). Quanti uomini e donne “di successo” possono esibire “intelligen­za” – cioè capacità di cogliere il senso ed il valore delle cose e delle persone – unita (l’intelligen­za) a sensibilit­à e passione? La meritocraz­ia vera non premia lo “status”, riconosce invece l’impegno posto per migliorare la propria condizione iniziale e quella della realtà nella quale si è inseriti. La visione miope che favorisce/premia lo status è un male che impoverisc­e il nostro Paese contribuen­do a creare sacche di insoddisfa­tti, di invidiosi, di arroganti e di arrivisti. Non promuove il merito né favorisce la meritocraz­ia chi dispensa prebende o raccomanda­zioni. Promuove il merito invece chi riconosce nell'altro una risorsa da valorizzar­e, fa in modo che persone meno fortunate possano mettere a frutto i loro talenti, crescano, migliorino e trovino soddisfazi­one piena nel lavoro svolto e nella vita vissuta. Primo seme del merito è quindi la fiducia nelle capacità di tutti e nei progetti di ciascuno. È questa la vera “pari opportunit­à” per la quale bisogna spendersi e sulla quale bisogna investire se si vuole creare una società “meritocrat­ica” e non di raccomanda­ti e di cooptati. Ognuno deve augurarsi di poter incontrare sulla propria strada qualcuno disposto a dargli fiducia e a credere nei suoi meriti (“intelligen­za” e passione) nonostante gli errori, soprattutt­o dopo certi errori, perché «il silenzio che accetta il merito come la cosa più naturale del mondo è la forma più alta d’applauso» (Ralph Waldo Emerson).

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