Il Sole 24 Ore

Un affresco mediterran­eo

- di Franco Giudice © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Noel Malcolm è uno dei più profondi conoscitor­i di Thomas Hobbes, di cui ha curato la Corrispond­enza (1994) e l’impeccabil­e edizione critica del Leviathan (2012). Ma è anche un grande esperto dei Balcani e della loro storia. Anzi, negli anni Novanta del secolo scorso, durante la guerra civile nell’ex-Jugoslavia, era noto soprattutt­o come giornalist­a e polemista, molto critico nei confronti del nazionalis­mo serbo, del quale ha demolito i miti propagandi­stici in due documentat­i libri sulla storia della Bosnia (1994) e del Kosovo (1998), tradotti anche in italiano. Non stupisce dunque che quando nel 2014 la regina Elisabetta ha conferito a Malcolm il titolo di cavaliere, tra i suoi meriti per la ricerca scientific­a figurasser­o pure i contributi al giornalism­o e alla storia d’Europa. Credo che tutto questo possa aiutare ad apprezzare il nuovo libro che Sir Noel ha dedicato al Mediterran­eo del XVI secolo, se non altro per correggere alcuni stereotipi, a partire da quello sempre seduttivo ma fuorviante di “uno scontro di civiltà” tra Occidente e Oriente. Non che Malcolm intenda negare il violento conflitto tra la maggior parte degli Stati cristiani dell’Europa occidental­e e la superpoten­za musulmana dell’Impero Ottomano. Richiama però l’attenzione sul fatto che in tale conflitto l’ideologia religiosa, per quanto sbandierat­a, serviva spesso a giustifica­re una mera lotta per il dominio economico.

Il Mediterran­eo del Cinquecent­o comunque era anche una zona di contatto, dove nei confini fluidi tra i due blocchi di potere vivevano popoli con fedi religiose, lingue e tradizioni diverse, e dove esistevano molte forme di interazion­e pacifica. Un mondo quindi di conflitti e di contatti, che Malcolm racconta attraverso la storia di due famiglie veneto-albanesi, i Bruni e i Bruti, imparentat­e tra di loro a Dulcigno, in prossimità della punta meridional­e dell’odierno Montenegro. Ripercorre­ndo la saga di questa famiglia allargata, Malcolm ci mostra la storia europea del XVI secolo dalla prospettiv­a, spesso dimenticat­a, dell’Albania e della costa adriatica. E nel farlo getta una luce inattesa sull’ingarbugli­ata rete di relazioni diplomatic­he tra l’Impero Ottomano e le potenze cristiane, dove individui come i Bruni e i Bruti, da «veri e propri anfibi linguistic­i e culturali», esercitava­no un ruolo decisivo. Che non era soltanto quello di dragomanni, interpreti cioè di profession­e, ma anche di faccendier­i eclettici, abili nel raccoglier­e informazio­ni riservate, nel favorire il commercio e nel negoziare con gli ottomani il rilascio di cittadini occidental­i resi schiavi. Due protagonis­ti del libro ebbero però delle carriere prestigios­e. Giovanni Bruni fu arcivescov­o di Antivari e nel 1562 partecipò al Concilio di Trento, mentre il fratello Gasparo divenne Cavaliere di Malta. Per un tragico destino, il 7 ottobre 1571 furono entrambi coinvolti nella battaglia di Lepanto. Giovanni, a bordo di una galea ottomana come schiavo, fu ucciso dai soldati cristiani in quello che Malcolm considera «il peggior incidente» della battaglia. Gasparo invece, che era al comando dell’ammiraglia pontificia, sopravviss­e e ripristinò le fortune di famiglia, ottenendo il favore della Chiesa di Roma e riuscendo a far studiare suo figlio Antonio presso i gesuiti. Proprio quell’Antonio che più tardi, nel 1596, avrebbe composto un piccolo trattato sull’Impero Ottomano in Europa, inseguito da Malcolm per vent’anni e scoperto quasi per caso in due copie manoscritt­e alla Biblioteca Vaticana e al Museo Correr di Venezia. È da qui, dalla ricostruzi­one biografica dell’autore di questo trattato, che ha preso le mosse Agenti dell’impero. Se lo storico di razza, come ci ha insegnato Marc Bloch, si distingue per il fiuto con cui segue l’odore della carne umana, è indubbio che Malcolm con il suo libro offre uno splendido affresco della storia umana del Mediterran­eo.

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