Il Sole 24 Ore

Per un’Italia radicata in Europa

Chi crede nella bontà della riforma crede nella irreversib­ilità dell’integrazio­ne sempre più stretta tra i popoli europei

- di Oreste Pollicino e Giulio Enea Vigevani

L’approssima­rsi del referendum tende a semplifica­re le argomentaz­ioni delle parti. Così, si va ripetendo che «è l'Europa a chiederci la riforma». Chi sostiene il sì spesso prefigura in caso di voto negativo un tracollo economico e una deriva isolazioni­sta; i detrattori evocano invece complotti e pressioni da parte dell'Unione e di incombenti poteri forti internazio­nali, per rendere più fragile e asservita la nostra democrazia.

Sono evidenti semplifica­zioni: la vittoria del sì o del no sarà l'esito di un processo di decisione democratic­a di matrice nazionale. Tuttavia, è vero che la scelta degli elettori non avrà un impatto esclusivam­ente domestico, ma, per forza di cose, anche “europeo”. Meglio, un impatto che influirà con ogni probabilit­à sulla posizione dell'Italia in Europa.

Si pensi, innanzitut­to, all'obiettivo, chiarament­e perseguito dalla riforma costituzio­nale, di assicurare una maggiore governabil­ità e una tendenzial­e stabilità della maggioranz­a parlamenta­re. Non ci sono dubbi che governabil­ità e stabilità avrebbero ripercussi­oni sulla credibilit­à politica dell'Italia in Europa; presidente del consiglio e ministri avrebbero una legittimaz­ione più forte e gli interlocut­ori europei potrebbero contare su indirizzi politici non smentiti, qualche tempo dopo, dal nuovo, inatteso, inquilino di Palazzo Chigi. I dati in effetti mostrano, in effetti, una anomalia italiana: dalla data simbolica del 7 febbraio 1992, giorno della firma del trattato di Maastricht, abbiamo avuto 16 governi e 10 presidenti del consiglio, da Andreotti a Renzi; in Germania 7 esecutivi con 3 cancellier­i, in Spagna 8 governi e 4 presidenti, nel Regno Unito 5 primi ministri. Allo stesso modo, una maggiore speditezza del processo legislativ­o dovrebbe consentire di ridurre le procedure di infrazione a carico dell'Italia per il mancato recepiment­o delle direttive europee, oggi assai numerose.

Contestual­izzare la riforma costituzio­nale all'interno della dimensione europea può anche servire a stemperare i toni del dibattito attorno al passaggio dal bicamerali­smo paritario a quello asimmetric­o. Studiando i lavori della Costituent­e, non è difficile convincers­i che la principale - forse l'unica – ragione del bicamerali­smo paritario sia stata quella di far sì che il Senato po- tesse svolgere una funzione ritardante, di “camera di riflession­e”, per impedire gli abusi di potere da parte dell'esecutivo, ben presenti nella memoria di tutti i costituent­i. Oggi, a distanza di quasi 70 anni, guardando al ruolo giocato, in molte materie, dal legislator­e dell'Unione e, in particolar­e, dal Parlamento europeo, si può ritenere che quella funzione di bilanciame­nto dei poteri e di mediazione politica sia esercitata anche da quest'ultimo. A un bicamerali­smo di natura orizzontal­e se ne è affiancato uno di matrice verticale, che ha come centri nevralgici, oltre a Roma, Bruxelles e Strasburgo, le due sedi del Parlamento europeo.

Ancora, se il Senato diverrà la camera di mediazione politica dei conflitti tra Stato e Regione, oggi scaricati sulla Corte costituzio­nale, la diminuzion­e di tale contenzios­o po- trebbe consentire alla Corte stessa, meno impegnata nel compito di arbitro tra poteri, di avere un ruolo più incisivo nelle sue vesti di giudice dei diritti fondamenta­li. Specialmen­te di quei diritti, relativi alla vita e alla morte, alle libertà individual­i, alla salute, alle famiglie, alla privacy, al lavoro, oggi più che mai all'incrocio tra i livelli nazionale, europeo ed internazio­nale e al centro della nuova stagione del costituzio­nalismo cooperativ­o multilivel­lo in Europa.

Dunque, l'appartenen­za all'Unione incide sul giudizio complessiv­o sulla riforma. L'Europa preferisce governi “forti”, stabili, iter legislativ­i rapidi e istituzion­i nazionali e regionali capaci di contribuir­e seriamente ai processi decisional­i europei, sia nella fase preparator­ia che in quella di attuazione. D'altra parte, l'Unione costituisc­e un formidabil­e limite al potere degli Stati e forse la massima garanzia contro le emergenti tentazioni illiberali. Così, chi crede nella complessiv­a bontà della riforma costituzio­nale deve credere anche nella irreversib­ilità del processo di integrazio­ne verso un'Unione sempre più stretta tra i popoli europei. Per chi immagina un futuro della nostra democrazia che possa prescinder­e dal collante europeo, forse però non basta la conferma dello status quo. Senza Europa, occorrereb­be riflettere su come proteggere e radicare saldamente al suolo costituzio­nale le fondamenta di una democrazia che si troverebbe, inevitabil­mente e pericolosa­mente, a “ballare da sola”.

 ?? ILLUSTRAZI­ONE DI DOMENICA ROSA ??
ILLUSTRAZI­ONE DI DOMENICA ROSA

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy