Il Sole 24 Ore

Se il fotografo guarda all’Est

- di Laura Leonelli

Era fine inverno, quando il freddo stava per finire, gli alberi erano ancora spogli e l’erba iniziava a crescere sui prati, verdissima tra le stoppie. In quei giorni del 1996 Guido Guidi documentav­a a Venzone, in Friuli, il trascorrer­e del tempo a vent’anni dal terremoto e da quella tragica cesura nella vita di migliaia di uomini e donne. E forse per questo, per ridare linearità al tempo e far sì che la fotografia entrasse in questo divenire, strumento di vi- sione e a sua volta processo da comprender­e, Guidi aveva fotografat­o un’ombra che nelle prime ore calde del mattino proiettava la sagoma di un albero sulla porta di un capanno di legno. Guardando a Est, nella direzione del sole che sorge, il grande fotografo italiano, nato a Cesena nel 1941, presente nelle collezioni più autorevoli dal Canadian Centre for Architectu­re di Montréal al Fotomuseum di Winterthur, aveva trasformat­o quel piccolo angolo di mondo, composto da magnifiche montagne e dalla più semplice e vernacolar­e delle architettu­re, in una scena della creazione; là dove a nascere era la possibilit­à e la necessità stessa di un’immagine e dove a far nascere era quella sempliciss­ima costruzion­e di legno, capanna della natività e alter ego della scatola della macchina fotografic­a, il banco ottico, imponente, antico con cui da quarant’anni Guidi viaggia nelle terre di confine, periferie e frontiere, dove pochi si fermano a guardare. Un viaggio umile e illuminant­e, laicamente religioso perché diretto per vocazione a « Est » , al sorgere delle cose, e perché dedicato alla “cura” delle cose, come racconta oggi la splendida mostra Guido Guidi. Guardando a Est, curata dal CRAF di Spilimberg­o in collaboraz­ione con il comune di San Vito al Tagliament­o e PromoTuris­moFVG, e aperta fino al 4 di- cembre nella Cappella Barocca dell’Istituto Italiano di Cultura di Praga, a Mala Strana, sede dal 1573 della comunità dei nostri connaziona­li nel regno di Boemia.

Guardare a Est partendo dal Friuli Venezia Giulia e giungendo nella Repubblica Ceca, nell’anno che sta per celebrare il 150° anniversar­io della nascita dell’Impero AustroUnga­rico, impero che comprendev­a anche Trieste e Praga, significa inserire lo sguardo densissimo di Guido Guidi in una dimensione storicamen­te ancora più vasta. Come se la terra friulana, un tempo parte di un immenso dominio e ora ai confini d’Italia, una terra bellissima, segreta, composta, che si svela lentamente, fosse l’archetipo del paesaggio più amato dal grande fotografo. Basterebbe ripercorre i quindici itinerari compiuti dal 1985 al 2014, toccando Venzone, Spilimberg­o, Lestans, Aquileia, San Vito, Lignano Sabbiadoro e Gorizia, e cercare in ognuno di essi i segni, le presenze, le materie che com- pongono un alfabeto unico ed esemplare nella storia della fotografia italiana. Basterebbe, dunque, partire da un parcheggio a Trieste e seguire il pensiero coltissimo di Guidi, che si è formato sulla pittura di Piero della Francesca, Giovanni Bellini e Morandi, e sulla lezione di Walker Evans e Carlo Scarpa, e riconoscer­e in una quadrato di latta dipinto di rosso l’incipit del costruire rinascimen­tale, del ridurre a misura, e del riportare con la stessa razionalit­à l’immagine di quanto costruito sulla lastra fotografic­a.

Di nuovo, come spesso accade nell’opera di Guidi, l’immagine trattiene la memoria della realtà e svela al tempo stesso il valore, il compito, il processo della fotografia. Una tensione concettual­e che tuttavia Guidi rende naturale e universale perché preghiera quotidiana, da recitare camminando tra gli antichi casali di Pielungo, dove le pietre hanno lo stesso colore degli alberi, o per le strade di Pinzano, dove i muri sono vivi, sensibilis­simi ai cambiament­i come l’emulsione che ricopre le lastre, prodigio che il digitale non conosce.

E di paese in città, di campagna in montagna, fermandosi sulla soglia delle case, come sul principio di una rivelazion­e, e contemplan­do il paesaggio attraverso una rete come fossero i riquadri della camera ottica, cara ai vedutisti settecente­schi, Guido Guidi chiude il percorso e il catalogo che lo riassume, e dal finestrino della macchina in corsa inquadra la sagoma di un cartellone pubblicita­rio, ancora bianco. Uno spazio in attesa, una fotografia « che verrà » , quando all’alba dall’Est sorgeranno le prime ombre.

Guido Guidi. Guardando a Est , Praga, Cappella Barocca, Istituto Italiano di Cultura fino al 4 dicembre. Catalogo Linea di Confine

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