La felicità triste di una canzone
«La musica musica è tutto quel che ho»: come l’indimenticato Pino Daniele, anche il giovanissimo Conor (Cosmo per gli amici) vive per suonare e cantare. Nella tristissima, soffocante Dublino di metà anni 70 del secolo scorso, trova negli accordi alla chitarra e nei versi che scrive una via di fuga da una quotidianità priva di speranze. Tutti, appena possono, se ne scappano nella mitizzata Londra, in cerca di quel qualcosa che lì, nella decentrata capitale irlandese, proprio non trovano. Sarebbero però solo i vuoti sogni di uno dei tanti, se non ci fosse un mentore. È il fratello più grande di Conor, uno che sa tutto, ma proprio tutto, delle band di tutto il mondo; uno che a casa possiede una raccolta di lp da fare invidia al negozio di “Alta fedeltà”; uno che, come tutti, ha creduto un giorno di poter fuggire, ma che poi si è spiaggiato inesorabilmente, tenuto a galla solo dai suoni del suo giradischi. Con l’imberbe fratellino quattordicenne è prodigo di buoni consigli: lo sprona, senza illuderlo, ed è il primo ad accorgersi che c’è della stoffa. Suona, Conor, suona! Non ti fermare nemmeno se mamma e papà sono oltre l’orlo di una crisi di nervi, e men che meno quando ti cambiano scuola e ti mandano in un istituto cattolico frequentato dalla peggiore teppaglia della città. Film di formazione, percorso ad ostacoli verso l’età adulta. «Sing Street» è una commedia musicale che instilla generose dosi di “felicità triste”, quell’inarrivabile ossimoro che rende uniche le canzoni del protagonista. Il quale, dal canto suo, ha un motivo ancora più serio per diventare bravo davvero: la cotta al fulmicotone per la tizia più bella del quartiere, un tipino davvero da batticuore. %%%%%
Sing Street, di John Carney, Irlanda, 2016, 106’, commedia musicale