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l’innestatore di elementi ultra moderni come i grattacieli newyorchesi in finte tarsie lignee di gusto rinascimentale e così via. Sì, è stato anche questo Mongiardino. Lo sapeva e non lo rinnegava. Ma così non si capisce il suo metodo meraviglioso e la sua grandezza che questa mostra evidenzia: perché dietro ogni progetto, ci sono una conoscenza eccezionale della storia dell’arte, un gusto vero del metter in scena, un voler far entrare la figura umana all’interno di una quinta, quella della casa, che ha sempre il duplice scopo, ed è sublime!, di dichiarare se stessa e anche la sua natura di “artificio”. Senza pauradi dichiarare anche la falsità. Mongiardino,elegante “falsario” (le sue “copie”, trasognate, mettevano in mondi verosimili, filtrati dall’immaginazione), non aveva scrupoli a rifiutare i modi correnti dell’architettura e proporsi come qualcosa di diverso. Bozzetti, disegni, foto, modellini, campioni di materiali, artigiani capacissimi: niente era estraneo al genio di Mongiardino quando lavorava a un suo onirico, realissimo, interno. E lo si capisce dal volume, ripubblicato in occasione della mostra, a cura di Francesca Simone, Architettura da camera (Officina Libraria), il sontuoso libro che Mongiardino scrisse negli ultimi anni di vita. Prosa precisissima, nitida e suadente: sarebbe stato un ottimo scrittore e anche come tale bisognerebbe studiarlo. «L’interesse per l’antico», conclude un suo scritto, nel quale ragiona del suo modo di fare ed essere, «non nasce da un desiderio nostalgico di gareggiare con esso, ma dalla convinzione che le cose del passato, se amate, possano continuare a vivere di vita propria, e in questo contribuire a rendere il mondo contemporaneo, se non migliore, in qualche modo meno ostile». Lezione che m o l t i s u o i d e t r a t t o r i e r a n o lontani non dal formulare, ma persino dal concepire. Correte ad ammirarlo. E a sognare...