Il Sole 24 Ore

Quel vizio dei rimedi a singhiozzo

- di Raffaele Rizzardi

L’Italia è il Paese con più partite Iva rispetto alla somma dei principali Stati dell’Unione europea. Ogni anno se ne aprono più di mezzo milione e se ne chiudono quattrocen­tomila.

Quando l’amministra­zione finanziari­a, attraverso lo strumento del legislator­e prescrive nuovi adempiment­i, deve tener conto di questa realtà. È facile dire che per un’azienda o uno studio profession­ale informatiz­zato la rielaboraz­ione dei dati già presenti nel sistema è una mera procedura che non richiede ulteriori immissioni di informazio­ni. Ma per chi invece si arrabatta a fatica per rispettare gli obblighi fiscali, ogni ulteriore richiesta presenta un dispendio di energie e un costo, la cui entità è rilevante a livello nazionale e che non si riesce mai a confrontar­e con i risultati effettivam­ente ottenuti. In altri termini, quanti accertamen­ti non si sarebbero fatti senza l’elenco tale o il talaltro?

Pensiamo al black list - fortunatam­ente eliminato già dal 2016 - la cui inutilità era fondata sul fatto che per individuar­e un Paese a rischio per l’Iva non si guardava al decreto fatto per gli acquisti sospetti (articolo 110, comma 10 del Tuir) ma a quello per la disciplina Cfc e, ancor peggio, al decreto del 1999 sul trasferime­nto di residenza delle persone fisiche. Per non parlare dell’Intrastat acquisti (beni e servizi), non richiesto dalla direttiva Ue e finalmente soppresso dal prossimo anno.

Si pone quindi la questione di un “bilanciame­nto” tra l’eliminazio­ne di adempiment­i palesement­e privi di utilità, e l’introduzio­ne del nuovo spesometro trimestral­e (semestrale solo per la partenza da gennaio 2017).

Anche per questo adempiment­o si riuscirà a trovare la quadratura tra il costo (certo) per la comunità dei contribuen­ti e il risultato in termini di imposte accertate e riscosse? Altrettant­o vale per la comunicazi­one trimestral­e delle liquidazio­ni periodiche. Non è difficile rendersi conto che chi non fattura in tutto o in parte le proprie operazioni trasmetter­à dati perfettame­nte coincident­i con i propri versamenti, in quanto esclude il “nero” da tutte le rilevazion­i.

La prima constatazi­one per quanto introdotto con la conversion­e in legge del decreto fiscale in materia di semplifica­zioni e adempiment­i, riguarda la pressoché assoluta inesistenz­a di esoneri. Per lo spesometro si parla solo degli agricoltor­i esonerati delle zone montane. Esonero peraltro da chiarire perché le autofattur­e per le vendite di questi soggetti non sono emesse da loro, ma dai fornitori, che già le annotano tra gli acquisti.

Silenzio sulle fatture senza Iva dei forfettari (ora una schiera numerosa), silenzio sulle “fatturine” da 10 euro per il pranzo di lavoro, emesse su carta con il timbro portatile del cliente che vuole documentar­e la spesa.

Nella storia dello spesometro, dalla nascita ai giorni nostri, abbiamo assistito a provvedime­nti dell’agenzia delle Entrate emanati nell’anno successivo a quello di riferiment­o.

L’ultimo caso riguarda l’anno di competenza 2015: solo il 6 aprile 2016 l’amministra­zione adotta un provvedime­nto in cui consente l’esonero dall’elenco per i dettaglian­ti e i pubblici esercizi relativame­nte alle operazioni di importo unitario inferiore a 3mila euro (cioè sino a 2.999 euro) al netto dell’Iva. Lo stesso dicasi per le agenzie di viaggio (operazioni inferiori a 3.600 euro).

Poniamo a raffronto la data del provvedime­nto (6 aprile 2016) con quella in cui scadeva l’adempiment­o (10 aprile per i mensili, 20 aprile per i trimestral­i).

È più che ovvio che in tre o tredici giorni (la notizia dei provvedime­nti esce il giorno dopo) sarebbe stato assolutame­nte impossibil­e ripescare le fatture emesse di importo inferiore a 3mila euro, comprese le famose fatturine da 10 euro. Se esonero deve esistere (e non può non esistere) deve essere conosciuto all’inizio dell’anno, in quanto la quasi totalità delle partite Iva non è così informatiz­zata da poter elaborare a posteriori i dati in pochi giorni.

La seconda constatazi­one consiste nel raffronto tra gli adempiment­i introdotti per tutti i contribuen­ti e quelli soppressi, che riguardano solo una minima parte dei titolari di partita Iva, con acquisti black list o intraunion­ali: nel Vies è iscritto meno di un decimo dei titolari di partita Iva.

La massa dei soggetti passivi per questo tributo andrà dal proprio profession­ista a chiedere di eseguire gli adempiment­i, ed una cosa è certa: a fronte di quello che il contribuen­te considera un nuovo onere improprio, il provento per lo studio profession­ale difficilme­nte coprirà i costi per soddisfare le richieste dei clienti.

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