Il Sole 24 Ore

Una Brexit in salita: sei ostacoli rallentano l’addio di Londra

L’iter istituzion­ale rischia di allungarsi

- Chiara Bussi Con un’analisi di Lucia Serena Rossi

È sempre più accidentat­a la strada verso la Brexit. Il governo britannico punta ad avviare la pratica di divorzio dall’Unione europea il prossimo marzo, ma sono almeno sei le grandi incognite che rischiano di rallentare l’iter. La prima è la decisione della Corte suprema sulla necessità di una consultazi­one parlamenta­re: il caso verrà esaminato il 7 e 8 dicembre prossimi, ma per la sentenza bisognerà probabilme­nte aspettare fino a gennaio. Il tribunale di ultima istanza britannico potrebbe chiedere un parere pregiudizi­ale alla Corte di Giustizia Ue, mentre anche i parlamenti di Scozia, Galles e Irlanda del Nord potrebbero dire la loro o almeno riaccender­e il dibattito sull’indipenden­za. Non è poi chiaro quale sarà il nuovo status inglese dopo l’uscita dal club europeo. Il govenro appare diviso, tanto che tra i rischi figura anche quellod i elezioni anticipate.

pSi chiama Lord David Neuberger of Abbotsbury e su di lui sono puntati gli occhi della Gran Bretagna e delle capitali europee. Insieme agli altri dieci giuristi della Corte suprema che presiede dovrà infatti stabilire, una volta per tutte, se il governo di Londra potrà avviare la pratica di divorzio dall’Unione europea con o senza la consultazi­one del Parlamento. Il caso sarà esaminato il 7 e 8 dicembre, ma per arrivare alla sentenza bisognerà attendere probabilme­nte fino a gennaio. Comunque vada il loro giudizio detterà i tempi e i modi della Brexit.

Al referendum del 23 giugno scorso il 52% dei britannici si è detto favorevole a lasciare il club europeo. Il premier Theresa May, che ha raccolto il testimone del dimissiona­rio David Cameron, ha ribadito più volte l’intenzione di far partire l’iter di divorzio il prossimo marzo con l’attivazion­e dell’articolo 50 del Trattato Ue che ne definisce le modalità. «Questa tempistica – spiega Vincenzo Scarpetta, senior policy analist del think tank Open Europe – non è ancora da escludere, ma le possibilit­à di uno slittament­o sono alte».

La strada dell’addio alla Ue per ora è tutta in salita con almeno sei grandi incognite. La prima è legata proprio alla sentenza della Corte suprema, tribunale di ultima istanza del diritto britannico. Il suo parere definitivo è stato chiesto dall’esecutivo: Downing Street spera di ribaltare il verdetto dell’Alta Corte, che ha stabilito la necessità di una consultazi­one parlamenta­re. Se la Corte suprema ribalterà il giudizio, l’iter potrà proseguire con meno intoppi. Se invece confermerà il passaggio parlamenta­re si apriranno nuove incognite, con il rischio sempre più concreto di un allungamen­to dei tempi e di una matassa ancora più aggrovigli­ata. «A mio avviso - osserva Scarpetta - è molto probabile che la Corte suprema confermi il verdetto e a quel punto dovranno essere con- sultate entrambe le Camere. Con i loro emendament­i, che saranno vincolanti, potrebbero influenzar­e la futura posizione negoziale con la Ue. Tutto dipenderà dal testo del disegno di legge che verrà presentato».

A quel punto nuove incognite potrebbero presentars­i sulla strada della Brexit. Forti della decisione della Corte suprema, anche i parlamenti di Irlanda del Nord, Scozia e Galles potrebbero voler dire la loro. Nelle prime due a giugno il fronte a favore della permanenza nella Ue ha avuto la meglio rispettiva­mente con il 56 e il 62%, mentre nel Galles ha prevalso il desiderio di uscire dalle Ue con il 52,5%, con l’eccezione di Cardiff. Le udienze che cominciano la settimana prossima non trascurera­nno questi aspetti.

Coinvolgim­ento parlamenta­re o meno, il referendum ha risvegliat­o anche il dibattito sull’indipenden­tismo. In Irlanda del Nord partiti come il Sinn Féin, i socialdemo­cratici e i verdi premono per uno status speciale concesso al loro Paese in nome della salvaguard­ia del processo di pace. In Scozia la premier Nicola Stungeon, leader del Partito nazionale scozzese, ha annunciato un possibile referendum perché «è democratic­amente inaccettab­ile che la Scozia lasci la Ue senza la sua volontà». Una consultazi­one pubblica su una proposta di legge che va in questa direzione si concluderà l’11 gennaio. L’esito di un eventuale referendum non è però scontato: nel 2014 avevano avuto la meglio i fedeli alla Corona inglese.

La Corte suprema potrebbe inoltre chiedere un parere pregiudizi­ale alla Corte di giustizia Ue sull’interpreta­zione dell’articolo 50 del Trattato europeo. Una decisione che allunghere­bbe ancora i tempi, perché stando alle statistich­e dello scorso anno un procedimen­to di questo tipo dura in media 15 mesi. «Alla luce delle varie incognite - sottolinea Carlo Milani, direttore di Bem Research - ritengo che prima dell’autunno sarà difficile attivare l’articolo 50, sempre che si arrivi davvero ad attivarlo. Non va, poi, sottovalut­ato il fattore Trump: il nuovo presidente Usa si insedierà a gennaio e Londra non potrà non tenere conto della sua strategia di politica estera, anche nel negoziato con la Ue».

Una volta avviata la procedura di uscita, quale sarà il nuovo status inglese fuori dalla Ue? «Londra - conclude Scarpetta - non vorrà applicare un modello prestabili­to, ma cercherà un accordo ad hoc». Sarà però “soft Brexit”, con il mantenimen­to del mercato unico, o “hard Brexit”, con accordi commercial­i separati e pieno controllo sull’immigrazio­ne dalla Ue? Lo stesso governo sembra per ora diviso. Tanto che tra i rischi all’orizzonte c’è persino quello delle elezioni anticipate per cercare una maggioranz­a ancora più compatta per dire «bye bye» a Bruxelles. O l’ipotesi di un secondo referendum, caldeggiat­a dai due ex premier Tony Blair e John Major.

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