Il Sole 24 Ore

Il prelievo non è «evasione»

All’ufficio l’onere di provare la «gravità»

- Dario Deotto u

Le modifiche introdotte al decreto fiscale (Dl 193/16) cambiano completame­nte il quadro di riferiment­o per l’utilizzabi­lità dei prelievi e dei versamenti non giustifica­ti ai fini del contrasto all’evasione. Le nuove norme hanno riflessi importanti sulle indagini finanziari­e.

pGià prima sussisteva più di qualche perplessit­à sul fatto che le disposizio­ni sulle indagini finanziari­e costituiss­ero presunzion­i di legge. Ora, dopo le modifiche introdotte dal decreto fiscale (Dl 193/2016), vi è la certezza che non lo sono affatto.

In primo luogo, se si trattasse di presunzion­e legale, la prova contraria che il contribuen­te dovrebbe dare (visto che le presunzion­i legali invertono l’onere probatorio) è sul fatto presunto. Sui prelievi, ad esempio, la norma “chiede” al contribuen­te di fornire indicazion­e del beneficiar­io, ma questo non è il fatto presunto, visto che quest’ultimo è dato dall’eventuale ricavo non dichiarato. Quindi, il fatto che la norma chieda la dimostrazi­one del beneficiar­io non può farla considerar­e presunzion­e legale.

In secondo luogo, va rilevato che la norma utilizza la locuzione che le operazioni (sia i versamenti che i prelievi) sono «poste a base» delle rettifiche. La volontà, pertanto, è di evitare la trasformaz­ione degli elementi raccolti nell’attività istruttori­a in prove automatich­e di evasione. Porre a base è sicurament­e molto diverso dal «si presume», dal «si considera», locuzioni normalment­e previste per le presunzion­i legali.

Inoltre, le disposizio­ni sulle presunzion­i (sia legali che semplici) possono essere contenute soltanto in norme disciplina­nti l’attività di accertamen­to. L’articolo 32 del Dpr 600/1973, invece, non è affatto una norma di accertamen­to, in quanto disciplina l’attività istruttori­a, un qualcosa che, in sostanza, sta pri- ma rispetto all’accertamen­to. Tant’è che lo stesso articolo 32 afferma che le operazioni relative alle indagini finanziari­e sono poste a base di specifiche norme di accertamen­to (quelle contenute negli articoli da 38 a 41 del Dpr 600/1973).

Infine, se si concentra l’analisi sugli accertamen­ti su imprese e profession­isti, gli articoli interessat­i sono il 39 e 40 del Dpr 600/1973, dove non si rileva alcuna presunzion­e legale. In sostanza, la norma dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 vuole dire sempliceme­nte che i risultati dell’attività istruttori­a vanno canalizzat­i, per imprendito­ri e profession­isti, negli accertamen­ti dell’articolo 39 (e 40) del Dpr 600/1973. Tanto che, sulla base di quest’ultima norma, o l’ufficio effettua una rettifica analitica in presenza di elementi certi (ad esempio, versamenti sul conto di assegni intestati) oppure si tratta di presunzion­i semplici, con onere probatorio che incombe sull’ufficio, il quale deve rispettare i parametri di gravità, precisione e concordanz­a.

La “prova provata” che non si tratti di presunzion­e legale si ha poi con i nuovi limiti quantitati­vi sui prelievi di 1.000 euro giornalier­i, e comunque di 5 mila euro mensili. È chiaro che un limite quantitati­vo di tal genere non può riguardare una presunzion­e di legge. Sarebbe irragionev­ole, oltreché non sintomatic­a di capacità contributi­va, e quindi illegittim­a. Infatti, ad esempio per un ricco imprendito­re prelevare 5mila euro al mese può essere poco e niente, mentre può essere un importo elevato per un piccolo imprendito­re.

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