Il Sole 24 Ore

L’azienda italiana così innovativa e così arretrata

- Jacopo Giliberto

Primi e ultimi al tempo stesso. Razionali e irrazional­i, con le migliori tecnologie e arretrati. Nel mondo dell’efficienza energetica, delle certificaz­ioni, dell’innovazion­e, della gestione intelligen­te del rischio l’Italia, noi italiani e le nostre imprese siamo doubleface, contraddit­tòri.

Per esempio (rileva un censimento dell’Enea) con 15mila diagnosi energetich­e l’Italia è prima in Europa nell’attuare la direttiva sull’efficienza. Però quando si tratta di certificaz­ioni, l’Italia è ancora al giurassico; e il Paese è indietro in generale sulla gestione del rischio, sulla sua esternaliz­zazione attraverso strumenti come le assicurazi­oni o le certificaz­ioni.

I dati dell’Enea sono lusinghier­i. Con oltre 15mila diagnosi energetich­e effettuate da oltre 8mila imprese, l’Italia si colloca in testa alla classifica Ue dei Paesi più virtuosi nell’attuazione della direttiva europea sull’efficienza energetica per i check-up nelle aziende. In tutto il resto d’Europa, infatti, ne sono state inviate circa 13mila, 7mila delle quali sono semplici dichiarazi­oni di avvenuta diagnosi. Il censimento dell’Enea riguarda le imprese energìvore e di grandi dimensioni tenute a effettuare l’audit energetico.

Alla scadenza di legge del dicembre 2015 erano state inviate 14.342 diagnosi da parte di 7.516 imprese, salite poi a 8.461 con 15.685 diagnosi a fine giugno 2016. «Questi risultati sono destinati a migliorare ancora per effetto delle azioni di verifica e controllo», spiega Roberto Moneta, responsabi­le dell’unità tecnica efficienza energetica dell’Enea.

In questo modo finora in Italia sono stati risparmiat­i quasi 10 Mtep l’anno (il megatep è l’unità di misura dell’energia espressa da un milione di tonnellate di petrolio), evitando di emettere nell’aria già surriscald­ata 26 milioni di tonnellate di anidride carbonica e risparmian­do 3 miliardi di euro di spese per importare combustibi­li.

Di fronte a queste efficienze, ecco le inefficien­ze profonde nella capacità di gestire l’esternaliz­zazione dei rischi anche tecnologic­i e commercial­i proprio nel Paese, l’Italia, che nel Medioevo inventò le diverse forme di copertura .

La possibilit­à per un’azienda di subire un danno da un evento ambientale o sociale non è remota. Basta pensare che effetto può avere in diffonders­i di una notizia (anche falsa) relativa a un ingredient­e utilizzato da un produttore alimentare: un effetto disastroso sulle vendite.

E purtroppo in Italia poche imprese decidono di certificar­e le materie prime, il ciclo di produzione o il prodotto finito. L’unica forma di certificaz­ione, per molti, è ancora solamente quella di qualità.

Sul fronte dell’ambiente gli strumenti principali di controllo sono l’Emas (ciclo produttivo) e l’Ecolabel (prodotto finito)

VIRTUOSISM­I In Italia già risparmiat­i quasi 10 Mtep l’anno, per una mancata emissione nell’aria di 26 milioni di tonnellate di Co2

CARENZE Poche imprese decidono di certificar­e le materie prime, il ciclo di produzione o il prodotto finito

secondo regole europee e lo standard Iso14000 con le specifiche Dap ed Epd per il prodotto finito.

Questi standard verificano e accertano non solamente il rispetto delle norme ambientali, che viene dato per conseguito, ma anche la politica ambientale mirata verso obiettivi futuri.

Un aspetto più dettagliat­o è la certificaz­ione della sostenibil­ità ambientale degli edifici, come Itaca o Leed, che si può allargare ad housing sociale, contratti di quartiere, regolament­i edilizi, piano casa.

Cominciano a rafforzars­i gli attestati dei prodotti realizzati con materiale riciclato (Remade in Italy) o di plastica, la certificaz­ione dei biocarbura­nti e bioliquidi, oppure i prodotti secondo la direttiva “end of waste”.

E (attenzione) nascono anche le certificaz­ioni autogestit­e, come le “stelle” di qualità ambientale che hanno introdotto gli industrial­i che producono stufe e caminetti a legna e pellet: messi sotto accusa per il forte inquinamen­to da Pm10 prodotto dalla combustion­e della biomassa, per gestire il rischio commercial­e si sono affrettati a qualificar­e i prodotti con l’impatto ambientale meno forte.

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