L’azienda italiana così innovativa e così arretrata
Primi e ultimi al tempo stesso. Razionali e irrazionali, con le migliori tecnologie e arretrati. Nel mondo dell’efficienza energetica, delle certificazioni, dell’innovazione, della gestione intelligente del rischio l’Italia, noi italiani e le nostre imprese siamo doubleface, contraddittòri.
Per esempio (rileva un censimento dell’Enea) con 15mila diagnosi energetiche l’Italia è prima in Europa nell’attuare la direttiva sull’efficienza. Però quando si tratta di certificazioni, l’Italia è ancora al giurassico; e il Paese è indietro in generale sulla gestione del rischio, sulla sua esternalizzazione attraverso strumenti come le assicurazioni o le certificazioni.
I dati dell’Enea sono lusinghieri. Con oltre 15mila diagnosi energetiche effettuate da oltre 8mila imprese, l’Italia si colloca in testa alla classifica Ue dei Paesi più virtuosi nell’attuazione della direttiva europea sull’efficienza energetica per i check-up nelle aziende. In tutto il resto d’Europa, infatti, ne sono state inviate circa 13mila, 7mila delle quali sono semplici dichiarazioni di avvenuta diagnosi. Il censimento dell’Enea riguarda le imprese energìvore e di grandi dimensioni tenute a effettuare l’audit energetico.
Alla scadenza di legge del dicembre 2015 erano state inviate 14.342 diagnosi da parte di 7.516 imprese, salite poi a 8.461 con 15.685 diagnosi a fine giugno 2016. «Questi risultati sono destinati a migliorare ancora per effetto delle azioni di verifica e controllo», spiega Roberto Moneta, responsabile dell’unità tecnica efficienza energetica dell’Enea.
In questo modo finora in Italia sono stati risparmiati quasi 10 Mtep l’anno (il megatep è l’unità di misura dell’energia espressa da un milione di tonnellate di petrolio), evitando di emettere nell’aria già surriscaldata 26 milioni di tonnellate di anidride carbonica e risparmiando 3 miliardi di euro di spese per importare combustibili.
Di fronte a queste efficienze, ecco le inefficienze profonde nella capacità di gestire l’esternalizzazione dei rischi anche tecnologici e commerciali proprio nel Paese, l’Italia, che nel Medioevo inventò le diverse forme di copertura .
La possibilità per un’azienda di subire un danno da un evento ambientale o sociale non è remota. Basta pensare che effetto può avere in diffondersi di una notizia (anche falsa) relativa a un ingrediente utilizzato da un produttore alimentare: un effetto disastroso sulle vendite.
E purtroppo in Italia poche imprese decidono di certificare le materie prime, il ciclo di produzione o il prodotto finito. L’unica forma di certificazione, per molti, è ancora solamente quella di qualità.
Sul fronte dell’ambiente gli strumenti principali di controllo sono l’Emas (ciclo produttivo) e l’Ecolabel (prodotto finito)
VIRTUOSISMI In Italia già risparmiati quasi 10 Mtep l’anno, per una mancata emissione nell’aria di 26 milioni di tonnellate di Co2
CARENZE Poche imprese decidono di certificare le materie prime, il ciclo di produzione o il prodotto finito
secondo regole europee e lo standard Iso14000 con le specifiche Dap ed Epd per il prodotto finito.
Questi standard verificano e accertano non solamente il rispetto delle norme ambientali, che viene dato per conseguito, ma anche la politica ambientale mirata verso obiettivi futuri.
Un aspetto più dettagliato è la certificazione della sostenibilità ambientale degli edifici, come Itaca o Leed, che si può allargare ad housing sociale, contratti di quartiere, regolamenti edilizi, piano casa.
Cominciano a rafforzarsi gli attestati dei prodotti realizzati con materiale riciclato (Remade in Italy) o di plastica, la certificazione dei biocarburanti e bioliquidi, oppure i prodotti secondo la direttiva “end of waste”.
E (attenzione) nascono anche le certificazioni autogestite, come le “stelle” di qualità ambientale che hanno introdotto gli industriali che producono stufe e caminetti a legna e pellet: messi sotto accusa per il forte inquinamento da Pm10 prodotto dalla combustione della biomassa, per gestire il rischio commerciale si sono affrettati a qualificare i prodotti con l’impatto ambientale meno forte.