Quote proporzionate ai costi di gestione e non in misura fissa
pTra gli adempimenti formali che possono dar luogo alle contestazioni fiscali più ricorrenti per le associazioni sportive dilettantistiche, c’è l’assenza di una vita sociale “democratica” all’interno dell’associazione che permetta di svolgere e seguire l’attività sportiva sulla base di principi di democrazia e di uguaglianza di tutti gli associati.
In altre parole, il fisco subordina il regime di vantaggio al ricorrere di alcuni requisiti, formali e sostanziali: tra i primi, spicca il rispetto del principio di democraticità della vita associativa, che non può limitarsi a una mera enunciazione nello statuto. Su questo è intervenuta in modo deciso la Ctr di Aosta con la sentenza del 13 aprile 2015, n. 8, la quale ha fornito puntuali precisazioni su come debbano essere interpretati i principi di uguaglianza e democraticità. Nello specifico, i giudici valdostani hanno chiarito che la democraticità e l’uguaglianza fra gli associati necessitano di una indagine “qualitativa” di natura sistematica da parte degli organi verificatori. Quindi, indizi quali la mancata convocazione dell’assemblea per approvare il rendiconto annuale, o la scarsa partecipazione all’assemblea stessa, se possono costituire indizi di una carenza di vita democratica, non possono di per sé ritenersi sufficienti per disconoscerele agevolazioni fiscali.
Rispetto alla problematica della mancata sottoscrizione degli avvisi di convocazione delle adunanze sociali avvenuti tramite affissione, poi, la Ctr di Milano sezione n. 2 con la sentenza n. 1097/2015 ha affermato che tale irregolarità «ha natura meramente formale e non sufficiente a provare la natura commerciale dell’associazione».
Si potrebbe allora ipotizzare che nelle associazioni si possa giungere spesso ad una sorta di “democrazia associativa di natura economica” come ben riassunto nella sentenza 1901/2016 della Ctr di Milano, sezione 36 dove si afferma che «l’effettivo coinvolgimento degli associati alla vita dell’ente è attestato dalla loro partecipazione alla copertura delle spese, non essendo ipotizzabile che essi abbiano erogato somme di denaro senza essere stati a conoscenza tanto del rendiconto, quanto dell’origine delle necessità finanziarie».
L’assenza del lucro
Nelle associazioni sportive dilettantistiche un altro tema rilevante è il nesso economico tra i costi sostenuti per l’attività sportiva, il valore delle quote associative e il vincolo statutario dell’assenza di finalità di lucro, che deve caratterizzare l’attività sportiva. La sentenza n. 12449 del 8 giugno 2011 della Cassazione, sezione Tri civile, ha chiarito che lo scopo non lucrativo si considera rispettato quando i costi dei servizi resi agli associati siano ripartiti a consuntivo con gli opportuni conguagli fra gli associati stessi. Viceversa - ribadisce la Cassazione – se il servizio è “venduto” a un prezzo prestabilito indipendentemente dal numero e dalla frequenza delle prestazioni, siamo in «una logica d’impresa e non di semplice ripartizione». È opportuno allora verificare che i corrispettivi percepiti non eccedano i costi di diretta imputazione e che si possa dimostrare la congruità dei corrispettivi percepiti con i costi sostenuti (Ctr Milano, sezione 30 , n. 82 del 21 maggio 2013).