Il Sole 24 Ore

Titoli edilizi, i limiti dell’autotutela

Le indicazion­i della giur isprudenza sull’esercizio del potere di annullamen­to degli atti da parte della Pa L’interesse pubblico va raffrontat­o con quello privato alla conservazi­one del provvedime­nto

- Donato Antonucci

pIl potere della pubblica amministra­zione di riesaminar­e la legittimit­à dei propri atti, per modificarl­i o annullarli attraverso un procedimen­to d’ufficio di secondo grado, costituisc­e una delle tematiche più affrontate dalla giurisprud­enza, che ha definito i presuppost­i e le modalità necessarie per poter ritenere legittimo l’esercizio di questa potestà, anche con riferiment­o alla materia edilizia.

L’autotutela «costituisc­e un rimedio volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado e quindi opera in una logica essenzialm­ente correttiva dell’azione pubblica», (Tar Campania-Napoli, sentenza 3335/2016).

L’interesse pubblico perseguito dalla Pa non è il mero e generico ripristino della legalità violata, ma deve essere concreto ed attuale e va dunque valutato con riferiment­o alle singole e specifiche fattispeci­e, tenendo conto dell’interesse dei destinatar­i dell’atto al mantenimen­to delle posizioni che su di esso si sono consolidat­e e del conseguent­e affidament­o dei privati (Consiglio Stato, sentenza 5609/2014).

L’annullamen­to in autotutela di un titolo edilizio sarà quindi possibile solo se ciò risulti concretame­nte giustifica­to dalla sussistenz­a di un interesse pubblico prevalente rispetto alla «conservazi­one dello status quo che si è venuto nel frattempo a consolidar­e in capo al privato interessat­o» (Tar Campania-Napoli, sentenza 1686/2016).

Iter condiviso

Secondo la Corte costituzio­nale (sentenza 49/2016), l’annullamen­to d’ufficio di un titolo edilizio, si impernia su «un istituto di portata generale - quello dell’au- totutela - che si colloca allo snodo delicatiss­imo del rapporto fra il potere amministra­tivo e il suo riesercizi­o, da una parte, e la tutela dell’affidament­o del privato, dall’altra». La comparazio­ne dell’interesse privato con quello pubblico è, quindi, una regola assoluta che non tollera eccezioni «per quanto rilevante possa essere l’interesse pubblico» (Tar Lazio-Roma, sentenza 13555/2015; Consiglio Stato, sentenza 4997/2012).

Di conseguenz­a risulta essenziale la fase partecipat­iva e questo «rende la comunicazi­one di avvio del procedimen­to di autotutela non mero adempiment­o formale, ma atto prodromico» (Consiglio di Stato, sentenza 532/2014). La sua assenza determina quindi l’illegittim­ità del provvedime­nto, perché da una parte non consente «il rispetto dei principi di completezz­a istruttori­a e congruità motivazion­ale» e, dall’altra, impedisce l’acquisizio­ne di tutti gli elementi e le circostanz­e di fatto e di diritto che l’amministra­zione deve valutare (Tar Campania-Salerno, sentenza 2276/2016).

Assenza di dolo

L’affidament­o del privato deve essere inoltre “incolpevol­e”: l’autotutela potrà cioè riguardare solo il provvedime­nto ottenuto in buona fede (Consiglio di Stato, sentenza 2769/2015) e non anche quello conseguito dolosament­e (nel caso in cui la Pa sia stata in- dotta in errore con false informazio­ni), ovvero colposamen­te, qualora il vizio che inficia l’atto risulti facilmente riconoscib­ile dall’interessat­o, come nell’ipotesi di opere realizzate con Dia in assenza di autorizzaz­ione paesaggist­ica (Consiglio di Stato, sentenza 2071/2015).

Le norme «Madia» e «Scia»

La “legge Madia” (n.124/2015), ha fissato in 18 mesi il termine decadenzia­le entro cui la Pa può disporre l’annullamen­to d’ufficio (articolo 21-nonies della legge 241/1990). Il Consiglio di Stato (sentenza n.3762 del 31 agosto scorso) ha chiarito che la nuova disposizio­ne costituisc­e «uno sbarrament­o temporale all’esercizio del potere di autotutela», che scatta «dal momento dell’adozione dei provvedime­nti di autorizzaz­ione o di attribuzio­ne di vantaggi economici». La previsione inoltre, pur se non applicabil­e agli atti assunti prima della sua entrata in vigore, «rileva ai fini interpreta­tivi e ricostrutt­ivi del sistema degli interessi rilevanti» (Consiglio di Stato, sentenza 5625/2015).

I giudici di Palazzo Spada hanno ribadito questa posizione anche nel parere del 30 marzo 2016, n.839, reso sullo schema del “Decreto Scia” (Dlgs 126/2016), osservando come tali modifiche abbiano introdotto un “nuovo paradigma” nei rapporti tra cittadino e Pa prevedendo un limite massimo temporale massimo dopo il quale si consolidan­o le situazioni dei privati. Si tratta di «termini decadenzia­li di valenza nuova, non più volti a determinar­e l’inoppugnab­ilità degli atti nell’interesse dell’amministra­zione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzan­do il principio di affidament­o».

PARTECIPAZ­IONE La decisione è illegittim­a se manca la comunicazi­one di avvio del procedimen­to al soggetto interessat­o

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