Titoli edilizi, i limiti dell’autotutela
Le indicazioni della giur isprudenza sull’esercizio del potere di annullamento degli atti da parte della Pa L’interesse pubblico va raffrontato con quello privato alla conservazione del provvedimento
pIl potere della pubblica amministrazione di riesaminare la legittimità dei propri atti, per modificarli o annullarli attraverso un procedimento d’ufficio di secondo grado, costituisce una delle tematiche più affrontate dalla giurisprudenza, che ha definito i presupposti e le modalità necessarie per poter ritenere legittimo l’esercizio di questa potestà, anche con riferimento alla materia edilizia.
L’autotutela «costituisce un rimedio volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado e quindi opera in una logica essenzialmente correttiva dell’azione pubblica», (Tar Campania-Napoli, sentenza 3335/2016).
L’interesse pubblico perseguito dalla Pa non è il mero e generico ripristino della legalità violata, ma deve essere concreto ed attuale e va dunque valutato con riferimento alle singole e specifiche fattispecie, tenendo conto dell’interesse dei destinatari dell’atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento dei privati (Consiglio Stato, sentenza 5609/2014).
L’annullamento in autotutela di un titolo edilizio sarà quindi possibile solo se ciò risulti concretamente giustificato dalla sussistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto alla «conservazione dello status quo che si è venuto nel frattempo a consolidare in capo al privato interessato» (Tar Campania-Napoli, sentenza 1686/2016).
Iter condiviso
Secondo la Corte costituzionale (sentenza 49/2016), l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio, si impernia su «un istituto di portata generale - quello dell’au- totutela - che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altra». La comparazione dell’interesse privato con quello pubblico è, quindi, una regola assoluta che non tollera eccezioni «per quanto rilevante possa essere l’interesse pubblico» (Tar Lazio-Roma, sentenza 13555/2015; Consiglio Stato, sentenza 4997/2012).
Di conseguenza risulta essenziale la fase partecipativa e questo «rende la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela non mero adempimento formale, ma atto prodromico» (Consiglio di Stato, sentenza 532/2014). La sua assenza determina quindi l’illegittimità del provvedimento, perché da una parte non consente «il rispetto dei principi di completezza istruttoria e congruità motivazionale» e, dall’altra, impedisce l’acquisizione di tutti gli elementi e le circostanze di fatto e di diritto che l’amministrazione deve valutare (Tar Campania-Salerno, sentenza 2276/2016).
Assenza di dolo
L’affidamento del privato deve essere inoltre “incolpevole”: l’autotutela potrà cioè riguardare solo il provvedimento ottenuto in buona fede (Consiglio di Stato, sentenza 2769/2015) e non anche quello conseguito dolosamente (nel caso in cui la Pa sia stata in- dotta in errore con false informazioni), ovvero colposamente, qualora il vizio che inficia l’atto risulti facilmente riconoscibile dall’interessato, come nell’ipotesi di opere realizzate con Dia in assenza di autorizzazione paesaggistica (Consiglio di Stato, sentenza 2071/2015).
Le norme «Madia» e «Scia»
La “legge Madia” (n.124/2015), ha fissato in 18 mesi il termine decadenziale entro cui la Pa può disporre l’annullamento d’ufficio (articolo 21-nonies della legge 241/1990). Il Consiglio di Stato (sentenza n.3762 del 31 agosto scorso) ha chiarito che la nuova disposizione costituisce «uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela», che scatta «dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici». La previsione inoltre, pur se non applicabile agli atti assunti prima della sua entrata in vigore, «rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti» (Consiglio di Stato, sentenza 5625/2015).
I giudici di Palazzo Spada hanno ribadito questa posizione anche nel parere del 30 marzo 2016, n.839, reso sullo schema del “Decreto Scia” (Dlgs 126/2016), osservando come tali modifiche abbiano introdotto un “nuovo paradigma” nei rapporti tra cittadino e Pa prevedendo un limite massimo temporale massimo dopo il quale si consolidano le situazioni dei privati. Si tratta di «termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il principio di affidamento».
PARTECIPAZIONE La decisione è illegittima se manca la comunicazione di avvio del procedimento al soggetto interessato