«Fallimento politico», nuovo tentativo con la riforma
Le modifiche al Titolo V
pLa revisione del Titolo V della Costituzione ripropone il tema del «fallimento politico» dei Presidenti delle Regioni. A espungerlo dal Dlgs 149/2011 era stata la Corte Costituzionale con la sentenza 219/2013. In quell'occasione il giudice delle leggi dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, commi 2,3 e 5, del decreto attuativo del federalismo fiscale nella parte in cui era prevista la rimozione del Presidente della Giunta regionale (ma anche dei dirigenti regionali e dei revisori) e lo scioglimento del Consiglio regionale (ex articolo 126 della Costituzione) nei casi di «grave dissesto finanziario» nella sanità. Il tutto con la conseguente incandidabilità a tutte le cariche elettive del Governatore regionale per la durata di dieci anni (oltre alla decadenza e all’interdizione dei dirigenti e dei revisori inadempienti nelle loro attribuzioni gestorie e di controllo).
Con la riscrittura dell’articolo 120, comma 2, si va ben oltre. Si insedierebbe nell’ordinamento costituzionale una pesante penalità da comminare ai cattivi gestori di Regioni, Province autonome, Città metropolitane e Comuni, a tutela dell’unità economica e giuridica della Repubblica e della buona amministrazione e dei neo-costituzionalizzati criteri di responsabilità degli amministratori e di efficienza (articoli 118, comma 2 e 119, comma 4), quest’ultimo ispiratore della metodologia di finanziamento pubblico da effettuarsi (finalmente) secondo i costi e i fabbisogni standard.
In buona sostanza, nel riscrivere le regole costituzionali che (già) consentono al Governo di sostituirsi (per esempio, con i ben noti commissari ad acta) alle Regioni e agli enti locali fortemente inadempienti sotto il profilo della gestione della cosa pubblica, il legislatore appesantisce la mano punitiva, ma con meccanismi di garanzia. Prevede una legge, esplicitamente attuativa della Costituzione, con la quale definire i poteri sostitutivi dell’esecutivo, da esercitarsi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e lea- le collaborazione, nei confronti dei governi regionali e locali resisi eventualmente responsabili di aver provocato gravi dissesti finanziari agli enti cui gli stessi sarebbero istituzionalmente preposti. Un potere di cui avvalersi, sentito il nuovo Senato delle Autonomie, per riportare in bonis le pubbliche amministrazioni territoriali, in modo da renderle «complici» efficienti dell’equilibrio economico del bilancio consolidato dello Stato.
Non solo. Quanto previsto nella riforma potrebbe rendersi funzionale alla reintroduzione della relazione di fine legislatura del Presidenti delle Regioni - magari unitamente a quella di inizio all’epoca non prevista dal legislatore attuativo della legge 42/2009 - che offrirebbe ai cittadini, così come avviene con quelle degli enti locali, di esprimersi più consapevolmente nelle tornate elettorali successive.