PER IL COMPENSO AL LEGALE PREVALE L’ACCORDO SCRITTO
Nel 2006 è iniziato un contenzioso tra l’agenzia delle Entrate e la nostra azienda, una Sas (società in accomandita semplice), che si è concluso in Cassazione con la nostra vittoria. Con l’avvocato cassazionista avevamo stipulato un accordo scritto che prevedva il pagamento, da parte nostra, di 7.000 euro per onorario e spese varie. Prima della sentenza, il legale ha preteso il saldo dell’importo, tramite fattura alla nostra azienda con dicitura «a saldo contenzioso n°...». La sentenza ha stabilito che l’agenzia delle Entrate doveva rimborsarci per spese legali circa 9.000 euro. Il legale ci ha chiesto l’integrazione, emettendo una nuova fattura pro forma, prima alla nostra azienda (che l’ha rifiutata) e poi, considerando che una parte del rimborso è andata a persone fisiche, emettendo fattura intestata a noi soci, e prontamente respinta. Si chiede se è giusto rifiutare il pagamento.
Non si rinvengono precedenti giurisprudenziali specifici. In effetti, la quantificazione del compenso al difensore – e quindi l’obbligazione dell’assistito nei confronti del primo – deriva dall’accordo scritto stipulato fra le parti; è stato già percepito e, appunto, fatturato “a saldo”. L’accordo delle parti, secondo la scala preferenziale disposta dall’articolo 2233 del Codice civile, risulta infatti preminente su ogni altro criterio di liquidazione (Cassazione, 29 dicembre 2011, n. 29837). La somma liquidata dalla Corte di cassazione nella sentenza individua, invece, il rimborso che la parte soccombente è tenuta a corrispondere all’altra parte, indipendentemente dal rapporto intercorrente fra quest’ultima e il proprio legale. Tant’è – e la considerazione costitui- zione, da parte di datori di lavoro o committenti, comprovante l’espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno tre anni. Inoltre, dovrebbe essere in possesso dell’attestato di frequenza a uno specifico corso in materia di sicurezza.