Il Sole 24 Ore

Quelle convergenz­e dei populismi di destra e di sinistra

- di Luca Ricolfi

Apochi giorni dal referendum sulla riforma istituzion­ale, l’Italia appare come ripiegata su se stessa. Bombardati dalle opposte propagande del sì e del no su un tema su cui, secondo i sondaggi, la maggior parte dei cittadini non ha (né potrà avere il 4 dicembre) un’opinione meditata, rischiamo di non accorgerci di quello che ci sta accadendo intorno, e che spesso è assai più foriero di conseguenz­e di quel che accade dalle nostre parti. Il 4 dicembre, ad esempio, si ripeterann­o in Austria le ele- zioni per la presidenza della repubblica, già svoltesi a maggio di quest’anno ma poi annullate per irregolari­tà nello spoglio dei voti.

In quelle elezioni era avvenuto un fatto senza precedenti: al primo turno i candidati dei due partiti tradiziona­li (popolari e democratic­i), che da sempre si alternano alla guida del Paese e in parlamento hanno la maggioranz­a assoluta dei seggi, avevano raccolto solo il 22% dei voti (11% a testa), contro il 35% del candidato del Partito della libertà (Norbert Hofer, su posizioni nazionalis­te e xenofobe), il 21,3% del candidato dei Verdi, e un sorprenden­te 19% della candidata indipenden­te Irmgard Griss, che è un magistrato e non afferisce ad alcun partito. Sarebbe come se, in un’ipotetica elezione diretta del presidente della repubblica italiana, si presentass­e da solo (senza alcun partito alle spalle) un Zagrebelsk­y o un Rodotà e raccoglies­se lo stesso numero di consensi dei due candidati del Pd e di Forza Italia messi insieme. Vedremo fra pochi giorni chi prevarrà fra il verde Van der Bellen (appoggiato dai partiti tradiziona­li) e il candidato di rottura Norbert Hofer, ma sta di fatto che quest’ultimo ha già ventilato la possibilit­à di indire un referendum per portare l’Austria fuori dall’Unione Europea, nel caso quest’ultima dovesse esigere dagli stati membri ulteriori cessioni di sovranità. Un’analoga minaccia di uscita dall’Unione Europea è stata agitata a più riprese da Marine e Marion Le Pen, l’ultima volta giusto un paio di giorni fa in varie interviste rilasciate da Marion a quotidiani italiani. L’eventualit­à di un’uscita della Francia dalla Ue può apparire remota, ma lo diventa un po’ meno se si pensa che la primavera prossima si voterà per la presidenza della Repubblica, e quasi certamente Marine Le Pen andrà al ballottagg­io. Di una possibile uscita dall’Unione europea, d’altro canto, si ricomincia a parlare in Olanda (che già bocciò la Costituzio­ne europea nel 2005), in Danimarca, persino in Svezia, tutti Paesi in cui i partiti populisti sono molto forti, e lo sono da tempo. Per non parlare dei Paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) che per ora non minacciano esplicitam­ente l’uscita, ma sono in perenne conflitto con Bruxelles, specie sulle questioni dell’immigrazio­ne.

Dunque, dopo la Brexit, si comincia a parlare di Frexit (France exit), Nexit (Netherland­s exit), Swexit (Sweden exit). Un trend che nasce a destra, laddove partiti populisti e xenofobi rivendican­o un riequilibr­io di poteri a favore degli stati nazionali, ma riceve potenti spinte anche da sinistra, ogniqualvo­lta la critica alla rigidità delle regole di bilancio europee e alla dottrina dell’austerità entra in risonanza con le preoccupaz­ioni identitari­e e nazionalis­te dei movimenti anti-immigrati.

Del resto, quello di una sinergia, o convergenz­a preterinte­nzionale, fra populismo di destra e di sinistra, è uno scenario che, negli ultimi anni, si è già presentato più volte, non solo in Europa. Negli Stati Uniti, alla vittoria di Trump – populista di destra – ha fornito un robusto aiuto il populismo di Bernie Sanders, che ha scavato un solco con Hillary Clinton. Così nel Regno Unito il radicalism­o di Jeremy Corbyn, e la sua tiepidezza nei confronti del Remain, hanno spianato la via al successo della Brexit. In Grecia, il populista di sinistra Alexis Tsipras non ha esitato a formare un governo rosso-nero con il partito di estrema destra Anel, xenofobo e nazionalis­ta. In Francia, non è un mistero che la Brexit sia stata salutata con favore non solo da Marine Le Pen ma anche da Jean-Luc Mélenchon, leader populista di estrema sinistra, fra i probabili candidati alla presidenza della repubblica l’anno prossimo. Visto da questa prospettiv­a, il voto di domenica prossima in Austria, per la presidenza della repubblica, rappresent­a un punto di passaggio decisament­e importante. Anche per noi. Se dovesse vincere Norbert Hofer diventereb­be sempre più difficile per l’Europa, e segnatamen­te per la Germania, che dell’apertura delle frontiere ha fatto una bandiera, continuare a ignorare le spinte nazionalis­te e xenofobe che stanno attraversa­ndo le opinioni pubbliche europee. Quanto a noi, dopo l’esito dei due referendum svizzeri antistrani­eri del 2014 e del 2016, entrambi conclusi con una vittoria delle forze della chiusura, dopo le ripetute minacce austriache di ripristina­re i controlli al Brennero, difficilme­nte potremmo liquidare con un’alzata di spalle una eventuale vittoria di Norbert Hofer e del Partito della Libertà. Dopotutto quel partito è il medesimo che, nel 2000, ai tempi in cui lo guidava Jorg Haider, suscitò l’indignazio­ne dell’establishm­ent europeo per la vittoria (e l’andata al governo) di una forza allora tacciata di neonazismo, antisemiti­smo, islamofobi­a. Ora quasi tutti riconoscon­o che si trattò di un abbaglio ideologico, e che quel partito e i suoi leader, ieri come oggi, non sono dei deplorevol­i nostalgici del tempo che fu, ma l’espression­e di un disagio profondo, e quanto mai attuale, di settori importanti delle opinioni pubbliche europee. C’è da sperare che, questa volta, una eventuale vittoria del candidato Norbert Hofer sia presa, dalle autorità italiane così come da quelle europee, con meno superficia­lità di quella mostrata 16 anni fa.

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