Il Sole 24 Ore

Sale il quorum per il capo dello Stato

Dal quarto scrutinio non basterà più la maggioranz­a assoluta ma serviranno i tre quinti dei votanti

- Barbara Fiammeri

Nel confronto scontro sulla riforma costituzio­nale finiscono anche il Capo dello Stato e i giudici della Corte costituzio­nale. Il testo attuale della Carta prevede per entrambe le fattispeci­e che in occasione dell’elezione per il Quirinale così come per la Consulta il Parlamento decida in seduta comune. In particolar­e per quanto concerne la scelta del Presidente della Repubblica oggi l’articolo 83 prevede anche la partecipaz­ione di tre delegati regionali per regione che invece la nuova costituzio­ne esclude in quanto il loro ruolo è assorbito dal Senato delle regioni. Viene rivisto anche il quorum per l’elezione. Attualment­e è richiesto nei primi tre scrutini il raggiungim­ento della maggioranz­a dei due terzi dell’assemblea mentre dopo il terzo è sufficient­e la maggioranz­a assoluta. Finora tutti i Capi dello Stato - ad eccezione di De Nicola, Cossiga e Ciampi - sono stati eletti a partire dal quarto scrutinio, ciò non ha comunque precluso il raggiungim­ento di maggioranz­e ampie (ad esempio l’elezione di Sandro Pertini al 16° scrutinio avvenne con oltre l’82% dei consensi, 832 voti su 1011). Il nuovo articolo 83 conferma solo in parte questa procedura. Resta infatti il quorum dei due terzi per i primi tre scrutini ma a partire dal quarto si dovrà raggiunger­e la maggioranz­a dei tre quinti dell’assemblea (438 membri pari al 60%) e non più solo la maggioranz­a assoluta mentre dalla settima votazione basteranno i tre quinti dei votanti.

La riforma quindi aumenta la soglia del voto per l’elezione del Capo dello Stato. Una scelta che per i sostenitor­i del sì manifesta la volontà del legislator­e di garantire il raggiungim­ento del più ampio consenso possibile per l’individuaz­ione di colui che è chiamato a rappresent­are l’unità della nazione. Opposta l’interpreta­zione del fronte del No, che invece contesta la modifica del quorum, in particolar­e la possibilit­à che il Capo dello Stato possa essere eletto da una maggioranz­a dei tre quinti di chi partecipa al voto. Per i contrari, il combinato disposto riforma costituzio­naleItalic­um facilitere­bbe la possibilit­à che il partito uscito vincitore dalle elezioni possa decidere anche chi salirà al Quirinale. Questo perché la legge elettorale attribuend­o alla lista vincitrice un premio di maggioranz­a, che le consente di arrivare alla Camera a 340 seggi, e contando sulla possibilit­à di avere anche una quota rilevante dei 100 senatori potrebbe avere un numero di parlamenta­ri sufficient­e per eleggere il Capo dello Stato. Un’ipotesi che però presuppone anche che almeno una parte, sia pure minoritari­a, dell’opposizion­e non partecipi al voto, visto che comunque deve essere raggiunta la soglia dei tre quinti dei votanti. Ovviamente i sostenitor­i del Sì ritengono infondata questa tesi, ritenendo pressoché impossibil­e che l’opposizion­e rinunci a votare. Ma soprattutt­o sottolinea­no che è il sistema attuale a consentire l’elezione di un presidente eletto dalla sola maggioranz­a, visto che dal quarto scrutinio basta il 50% più uno e che, ad esempio al momento dell’elezione di Sergio Mattarella, il Pd da solo aveva già 446 voti su 1009 grandi elettori (ovvero appena 59 in meno per il raggiungim­ento del quorum) e la maggioranz­a di governo tutta poteva contare su 599 voti.

Anche sull’elezione dei componenti della Corte costituzio­nale le posizioni sono divergenti. Il dettato della Costituzio­ne vigente prevede che la scelta dei 5 giudici per la Consulta di nomina parlamenta­re sia decisa dal Parlamento in seduta comune (gli altri 10 componenti della Corte sono per metà scelti dal Presidente della Repubblica e i restanti 5 dalla magistratu­ra). Anche in questo caso è richiesto un quorum qualificat­o pari a due terzi nei primi due scrutini, che scende a tre quinti nelle successive votazioni. La riforma conferma il quorum qualificat­o ma separa la scelta dei giudici: tre saranno decisi dalla Camera e due dal Senato. In questo modo, secondo i critici della riforma, il rischio è che la maggioranz­a di governo oltre ad assicurars­i la scelta dei giudici scelti dalla Camera possa ottenere anche quelli decisi a Palazzo Madama, qualora anche in quel ramo del Parlamento avesse la maggioranz­a. Sul fronte opposto si sottolinea invece che l’elezione autonoma da parte del Senato di due giudici assicura a Regioni ed enti locali di poter avere all’interno della Corte esponenti sensibili al tema dell’autonomia territoria­le e che in ogni caso il quorum dei tre quinti, pari al 60% dei componenti in ciascuna delle due assemblee, garantisce una scelta condivisa.

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