Il tempo lungo per ricomporre le divisioni
Era ragionevole dividere il paese in due su una questione come la riforma costituzionale? La questione viene continuamente riproposta come un mantra senza che ci si interroghi sulla natura stessa della chiamata dei cittadini a esprimere la decisione ultima su questioni che non si ritengono risolvibili delegandole solo al sistema rappresentativo. È soprattutto il caso di decisioni dove le sfumature sono tali da richiedere una pronuncia che sceglie definitivamente per un versante o per l’altro delle questioni in campo lasciando poi ad una fase successiva di elaborare le articolazioni necessarie al versante che si è scelto.
È sempre stato il caso dei referendum, una modalità che in altri contesti è stata usata anche con maggiore coraggio di quanto non sia stato il caso da noi: l’esempio può essere la Francia che ha usato questo strumento sia per la valutazione delle sue riforme costituzionali, sia più di recente per quella di una progettata costituzione europea.
L’Italia ha avuto un momento fondativo col referendum istituzionale per scegliere fra monarchia e repubblica. Si trattava senz’altro di un tema che avrebbe spaccato il paese come infatti avvenne: con una partecipazione dell’89,08% la repubblica ottenne il 54,27% dei consensi, la monarchia il 45,73. Oggi circola la leggenda che però questa spaccatura fu subito ricomposta, ma non è vero. L’accusa dei perdenti di aver subito dei brogli (c’erano state molte schede non considerate valide) ebbe un lungo corso, ma ciò che impedì il radicamento della divisione fu l’oggettiva pochezza della casa regnante che come tale non attirava consensi appassionati.
Si dovette poi attendere il referendum sulla legge che aveva istituto il divorzio nel 1974 perché il paese tornasse ad affrontare uno scontro che sulla carta avrebbe dovuto spaccarlo in due. In realtà anche in quel caso pur con una partecipazione di massa (87,72% degli aventi diritto) la spaccatura vi fu, ma fu meno accentuata (59,26% a favore del mantenimento della legge contro il 40,74% che voleva abolirla) e in realtà, chiuse le urne, non si registrò un permanere della
SPACCATURE Il referendum porta sempre a schieramenti ma stavolta le divisioni vanno oltre le due opzioni sulla riforma
grande divisione. Di nuovo il fatto è che la spaccatura muoveva più i pasdaran che avevano promosso quella prova di forza che non le masse che si erano fatte coinvolgere nell’emotività del voto.
Ha scarso senso paragonare a queste prove i numerosi referendum su questioni specifiche promossi per lo più dai radicali: in quei casi la natura dei quesiti non era così divisiva da lasciarsi strascichi duraturi alle spalle una volta si fosse conosciuto il responso delle urne.
L’ultimo referendum ad avere mosso realmente le passioni popolari fu quello per l’abolizione delle preferenze quando votò il 62,5% degli aventi diritto ma i Sì raggiunsero l’95,6%. Dunque in quel caso non ci fu divisione nel paese, perché si era ormai nel clima di contrapposizione ad una classe politica che aveva ormai perso il favore popolare.
Non ci fu invece vera passione popolare per i due referendum costituzionali recenti: quello del 2001 che chiedeva di abrogare la riforma del titolo V fatta passare a risicata maggiore da un centrosinistra che voleva togliere spazio al “federalismo” leghista vide una partecipazione di appena il 34,05% degli elettori che per il 64,21% approvarono il mantenimento della legge; quello del 2006 sulla riforma approvata dal centrodestra vide invece la prevalenza di coloro che volevano bocciare la riforma (61,29%) ma con un quorum di partecipazione non esaltante (52,46%). Neppure in questi casi vi furono spaccature durevoli legate al referendum in sé, perché nell’uno e nell’altro caso le spaccature erano già esistenti e si perpetuarono, perché toccavano la divisione del paese nei due campi dei berlusconiani e degli antiberlusconiani
Che indicazioni trarre da queste carrellata per quanto riguarda il prossimo referendum? Anche in questo caso la divisione non sarà tanto legata alle due diverse opzioni sulla riforma costituzionale (e per la verità le opzioni sono poi più di due) quanto alla spaccatura che si è determinata nel paese fra chi è disposto a scommettere su un possibile meccanismo che rimetta in discussione le modalità attuali di organizzazione del campo politico e chi preferisce mantenerle nello schema attuale indirizzando la resa dei conti allo scontro elettorale fra le forze in campo senza toccare il quadro istituzionale in cui ciò avviene. Questo non si ricomporrà tanto presto.