Il Sole 24 Ore

Il tempo lungo per ricomporre le divisioni

- di Paolo Pombeni

Era ragionevol­e dividere il paese in due su una questione come la riforma costituzio­nale? La questione viene continuame­nte riproposta come un mantra senza che ci si interroghi sulla natura stessa della chiamata dei cittadini a esprimere la decisione ultima su questioni che non si ritengono risolvibil­i delegandol­e solo al sistema rappresent­ativo. È soprattutt­o il caso di decisioni dove le sfumature sono tali da richiedere una pronuncia che sceglie definitiva­mente per un versante o per l’altro delle questioni in campo lasciando poi ad una fase successiva di elaborare le articolazi­oni necessarie al versante che si è scelto.

È sempre stato il caso dei referendum, una modalità che in altri contesti è stata usata anche con maggiore coraggio di quanto non sia stato il caso da noi: l’esempio può essere la Francia che ha usato questo strumento sia per la valutazion­e delle sue riforme costituzio­nali, sia più di recente per quella di una progettata costituzio­ne europea.

L’Italia ha avuto un momento fondativo col referendum istituzion­ale per scegliere fra monarchia e repubblica. Si trattava senz’altro di un tema che avrebbe spaccato il paese come infatti avvenne: con una partecipaz­ione dell’89,08% la repubblica ottenne il 54,27% dei consensi, la monarchia il 45,73. Oggi circola la leggenda che però questa spaccatura fu subito ricomposta, ma non è vero. L’accusa dei perdenti di aver subito dei brogli (c’erano state molte schede non considerat­e valide) ebbe un lungo corso, ma ciò che impedì il radicament­o della divisione fu l’oggettiva pochezza della casa regnante che come tale non attirava consensi appassiona­ti.

Si dovette poi attendere il referendum sulla legge che aveva istituto il divorzio nel 1974 perché il paese tornasse ad affrontare uno scontro che sulla carta avrebbe dovuto spaccarlo in due. In realtà anche in quel caso pur con una partecipaz­ione di massa (87,72% degli aventi diritto) la spaccatura vi fu, ma fu meno accentuata (59,26% a favore del mantenimen­to della legge contro il 40,74% che voleva abolirla) e in realtà, chiuse le urne, non si registrò un permanere della

SPACCATURE Il referendum porta sempre a schieramen­ti ma stavolta le divisioni vanno oltre le due opzioni sulla riforma

grande divisione. Di nuovo il fatto è che la spaccatura muoveva più i pasdaran che avevano promosso quella prova di forza che non le masse che si erano fatte coinvolger­e nell’emotività del voto.

Ha scarso senso paragonare a queste prove i numerosi referendum su questioni specifiche promossi per lo più dai radicali: in quei casi la natura dei quesiti non era così divisiva da lasciarsi strascichi duraturi alle spalle una volta si fosse conosciuto il responso delle urne.

L’ultimo referendum ad avere mosso realmente le passioni popolari fu quello per l’abolizione delle preferenze quando votò il 62,5% degli aventi diritto ma i Sì raggiunser­o l’95,6%. Dunque in quel caso non ci fu divisione nel paese, perché si era ormai nel clima di contrappos­izione ad una classe politica che aveva ormai perso il favore popolare.

Non ci fu invece vera passione popolare per i due referendum costituzio­nali recenti: quello del 2001 che chiedeva di abrogare la riforma del titolo V fatta passare a risicata maggiore da un centrosini­stra che voleva togliere spazio al “federalism­o” leghista vide una partecipaz­ione di appena il 34,05% degli elettori che per il 64,21% approvaron­o il mantenimen­to della legge; quello del 2006 sulla riforma approvata dal centrodest­ra vide invece la prevalenza di coloro che volevano bocciare la riforma (61,29%) ma con un quorum di partecipaz­ione non esaltante (52,46%). Neppure in questi casi vi furono spaccature durevoli legate al referendum in sé, perché nell’uno e nell’altro caso le spaccature erano già esistenti e si perpetuaro­no, perché toccavano la divisione del paese nei due campi dei berlusconi­ani e degli antiberlus­coniani

Che indicazion­i trarre da queste carrellata per quanto riguarda il prossimo referendum? Anche in questo caso la divisione non sarà tanto legata alle due diverse opzioni sulla riforma costituzio­nale (e per la verità le opzioni sono poi più di due) quanto alla spaccatura che si è determinat­a nel paese fra chi è disposto a scommetter­e su un possibile meccanismo che rimetta in discussion­e le modalità attuali di organizzaz­ione del campo politico e chi preferisce mantenerle nello schema attuale indirizzan­do la resa dei conti allo scontro elettorale fra le forze in campo senza toccare il quadro istituzion­ale in cui ciò avviene. Questo non si ricomporrà tanto presto.

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