La svolta necessaria per la crescita
Molti «se», forse troppi. Non sembra facile il passaggio di testimone tra le banche centrali e i governi, tra organismi tecnico-politici e istituzioni politiche naturalmente sottoposte al ciclo elettorale. L’Ocse auspica questa staffetta - la politica monetaria ultraespansiva ora appare più distorsiva che utile - ma anche la leva fiscale può essere utile solo «se efficace»; e la ricetta offerta sembra richiedere governi e parlamenti troppo virtuosi per ottenere davvero risultati, resi complicati, peraltro, dalla molteplicità di obiettivi da seguire: crescita, sostenibilità, ma anche eguaglianza per sostenere la domanda (i ricchi hanno una propensione al consumo più bassa).
La proposta dell’Ocse impone un cambiamento radicale nelle scelte dei governi. Negli ultimi tempi, la politica si è concentrata sulle spese non produttive, mentre ora si chiede - giustamente! - di aumentare la produttività. Solo le aziende sulla frontiera tecnologica hanno investito davvero nell’innovazione, mentre le altre sono rimaste piuttosto indietro.
Bene quindi - secondo l’Ocse - le spese nelle infrastrutture “di fondo”, come strade, ferrovie, telecomunicazioni dove i risultati possono essere migliori che in altri ambiti. Occorre però anche spendere di più nella ricerca, soprattutto nella ricerca di base alla quale il settore privato, per «fallimenti del mercato», sembra meno interessato; nella scuola e nell’istruzione (che aiuta anche a ridurre le diseguaglianze); e anche (con un particolare riferimento al nostro paese) nell’assistenza all’infanzia e nelle scuole materne, per aumentare la partecipazione al lavoro, per esempio delle donne. Per finanziare questi interventi occorrerà spostare risorse da altri settori, o in alternativa fare ricorso a imposte sulle proprietà immobiliari o sui consumi, «meno distorsive» (anche se quelle sui consumi in realtà sono anche regressive).
Non sarà un compito politicamente facile. Anche perché tutto questo va accompagnato da riforme strutturali. Non basta infatti gestire la domanda, ma occorre migliorare l’offerta; e un po’ tutti i paesi - Germania compresa - hanno molto da fare sotto questo punto di vista. Le riforme del lavoro non bastano, spiega l’Ocse (ma gli economisti dell’Fmi, parlando dell’Italia, avevano raggiunto la stessa conclusione anni fa): «Ammorbidire le regole sul lavoro in una situazione di rigidità dei mercati dei prodotti può solo ridurre occupazione e salari. Al contrario, una contemporanea deregulation delle imprese aumenta la probabilità che le aziende entrino in concorrenza per assumere i lavoratori», spingendo i salari. Occorrerebbe quindi stimolare la concorrenza, soprattutto nei servizi, e facilitare gli investimenti dall’estero:il protezionismo, in tutte le sue forme, può infatti vanificare questi sforzi.
È un programma complesso, che richiede competenze elevate nella scelta dei “buoni investimenti” e un po’ di distacco dalle esigenze elettorali. Pochi governi, forse nessuno - si può prevedere - saranno davvero all’altezza di questo impegno.