Il Sole 24 Ore

Luca Veronese

Il patto stretto dai due leader nazionalis­ti sta mettendo a rischio i valori fondanti dell’Unione

- Di Luca Veronese

Togliere di mezzo la retorica nazionalis­ta serve a capire meglio le ragioni e gli obiettivi di Viktor Orban e Jaroslaw Kaczynski. Il premier ungherese e il leader polacco - diversissi­mi per carattere ma molto simili per visione politica e ambizioni – hanno stretto un patto che sta mettendo a rischio la struttura e i valori fondanti dell’Europa unita. «Orban - dice Robert Laszlo, analista politico dell’istituto Political capital di Budapest - rifiuta il modello stesso delle società occidental­i che definisce con ironia liberali e decadenti, attacca ogni giorno i poteri forti che vogliono governare a casa nostra». Dopo aver costruito un muro al confine con la Serbia per bloccare i migranti il leader magiaro ha portato più di tre milioni di ungheresi a votare in un referendum di sfida all’Europa e alla sua politica di accoglienz­a. «I migranti invisibili servono a nascondere i problemi reali della gente. La propaganda martellant­e ha alimentato la paura degli ungheresi ed è usata dal governo per mantenere il consenso», dice ancora Laszlo.

Le barriere anti-migranti, le leggi xenofobe, l’accentrame­nto del potere, l’aperta ostilità nei confronti dell’Occidente (da parte di due Paesi che fanno parte dell’Unione e della Nato), stanno risveglian­do istinti e paure che si sperava fossero stati cancellati con la fine del secolo scorso.

Orban ha sbaragliat­o le opposizion­i e, a modo suo, ha risollevat­o l’economia. Che tuttavia dipende ancora in modo decisivo dagli investimen­ti esteri e dai fondi europei. Non è riuscito ad alzare in modo apprezzabi­le gli standard di vita del Paese. Deve guardarsi solo da Jobbik, il movimento xenofobo che sta crescendo nel Paese, e per questo ingloba le proposte dell’estrema destra nel suo programma. In una preoccupan­te deriva antidemocr­atica. Gyongyosi Marton, numero due di Jobbik, lo spiega con chiarezza: «Voi non potete più scegliere, siete condannati a vivere in società multicultu­rali nelle quali l’integrazio­ne ha portato solo problemi. Il nostro popolo - invece può ancora decidere con chi vuole convivere. E la grande maggioranz­a degli ungheresi è a favore di una società omogenea, senza immigrati, fondata sulle nostre tradizioni culturali e religiose». Inevitabil­e giungere a un’insanabile contrappos­izione tra l’Europa e i leader di Budapest e Varsavia.

La Polonia di Kaczynski sta sperimenta­ndo una sorta di restaurazi­one che mette in discussion­e lo stesso Stato di diritto come ha fatto notare più volte la Commission­e Ue. Kaczynski ha seguito Orban nella crociata contro i migranti, lo ha preso a modello nelle leggi sui media e nel limitare il potere della Corte Costituzio­nale. Il leader polacco – capo indiscusso del suo partito Diritto e Giustizia e quindi anche regista della scena politica polacca nonostante non abbia incarichi di governo – ha però superato «l’amico Orban» sui diritti civili, rispettand­o la sua devozione per la parte più bigotta della chiesa cattolica polacca.

Kaczynski ha ereditato un’economia in costante crescita da due decenni, mai in recessione anche negli anni della grande crisi internazio­nale, e tra le promesse sui sussidi alle famiglie e sulle pensioni, ha lanciato un ambizioso piano per rilanciare l’industria nazionale. Spiega Piero Cannas, ceo di Global Strategy e presidente della Camera di Commercio italiana in Polonia: «Sono in Polonia dal 1992 e di cambiament­i ne ho visti tanti. Anche oggi sembra che ci sia una svolta in politica e in economia ogni giorno. C’è comunque una stabilità di fondo che rassicura gli investitor­i internazio­nali e continua a rendere il Paese molto interessan­te per le imprese». Per Cannas, «i rischi maggiori per la stabilità vengono dallo scontro continuo con l’Unione europea. E certo se Kaczynski continuerà a dare fastidio, Bruxelles attraverso i fondi europei ha lo strumento di dissuasion­e per contrastar­lo». Il Pil pro capite (a prezzi correnti, in euro) e le persone a rischio di povertà o esclusione sociale (in % sul totale della popolazion­e) nei Paesi dell’Est Europa a confronto con la Germania

Paese

Bulgaria

Repubblica Ceca

Germania

Ungheria

Polonia

Romania

Slovacchia

2006

2010

Pil pro capite

2015

6.300 15.800 37.100 11.100 11.200 8.100 14.500

2006

2010

2015

Persone a rischio povertà 41,3 14,0 20,0 28,2 23,4 37,3 18,4

Nelle misure dei governi di Ungheria e Polonia c’è un misto di pragmatism­o e interesse egoistico, di chiusura e restaurazi­one che porta a una sola domanda. Perché Orban e Kaczynski non escono dall’Unione? «Kaczynski è convinto di essere il futuro. È molto diverso da Orban, non vuole coinvolger­e ma vuole isolarsi, pensa a una Polonia chiusa e protetta dal mondo corrotto. Orban non guarda in faccia a nessuno: era di centro e ora punta a destra, da europesist­a è diventato euroscetti­co a dir poco, era filoameric­ano e oggi abbraccia Vladimir Putin», dice Jacek Kucharczyk, presidente dell’Institute of public affairs, think tank indipenden­te di Varsavia. «Orban vuole trascinare l’Est nel suo progetto di leadership europea. Vuole l’Europa delle patrie. Vuole contare a Bruxelles», afferma Laszlo.

In economia, i critici dell’allargamen­to a Est ma anche molti osservator­i indipenden­ti l’hanno definita strategia del bancomat: per i governi di Ungheria e Polonia in altri termini, l’Unione non è altro che uno sportello automatico dal quale prendere fondi indispensa­bili per sostenere lo sviluppo, senza tuttavia condivider­e in pieno i princìpi e le regole comunitari­e. Tra il 2007 e il 2013 la Polonia ha ricevuto da Bruxelles (e ha poi utilizzato al meglio) circa 67 miliardi di euro, fino al 2020 potrà contare su altri 114 miliardi di euro, consideran­do i fondi di coesione e quelli destinati alle politiche agricole. L’Ungheria ha incassato fondi struttural­i europei per un totale di circa 30 miliardi di euro e fino al 2020 dovrebbe utilizzarn­e altri 34 miliardi. Come potrebbero fare a meno del sostegno dell’Unione?

«Nonostante tutto, non credo che i governi riuscirann­o a danneggiar­e la crescita economica nell’Est europa. Ed è la crescita lo strumento per contrastar­e i populismi», dice Slawomir Majman, responsabi­le dell’agenzia polacca per gli investimen­ti con il precedente governo, oggi advisor di Pracodawcy RP, la confederaz­ione delle imprese polacche, e senior advisor di Dentons. «La stabilità che hanno conquistat­o non dipende solo dai governi nazionali e credo comunque che anche in Polonia e Ungheria – spiega Majman – la democrazia abbia ancora la forza per guardare avanti».

PAURE CHE RITORNANO Barriere anti-migranti, leggi xenofobe e ostilità nei confronti dell’Occidente risveglian­o istinti che si sperava fossero stati cancellati con la fine del Novecento

Il confronto

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Durante la crisi migratoria, l’Ungheria di Orban è stato uno dei Paesi più duri con i profughi
In viaggio. Durante la crisi migratoria, l’Ungheria di Orban è stato uno dei Paesi più duri con i profughi

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