Il Sole 24 Ore

«Si rischia un capo dello Stato eletto da una minoranza»

Valerio Onida Ex presidente Corte costituzio­nale

- B. F.

pValerio Onida, presidente emerito della Corte costituzio­nale, uno dei saggi nominati nel 2013 dall’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano e successiva­mente membro della commission­e per le riforme istituzion­ali voluta dall’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, è tra gli esponenti del no, anche se non condivide tutte le motivazion­i che altri portano nello stesso senso. Onida ritiene il ddl Boschi una riforma «confusa e demagogica» e fortemente accentratr­ice, che altera pericolosa­mente gli equilibri costituzio­nali.

Professore, per l’elezione del Capo dello Stato l’innalzamen­to del quorum ai 3/5, rispetto alla maggioranz­a assoluta prevista dall’attuale articolo 83, non offre maggiori garanzie?

Anche in questo caso, come per altri aspetti di questa riforma, si parte da un presuppost­o condivisib­ile, qual è l’innalzamen­to del quorum, per arrivare a un risultato diametralm­ente opposto. Il nuovo articolo 83 prevede infatti che a partire dal quarto scrutinio sia sufficient­e la maggioranz­a dei tre quinti dell’assemblea, salvo poi aggiungere che dal settimo scrutinio la maggioranz­a richiesta scenda ai tre quinti dei votanti. È evidente che in questo modo si lascia aperta la possibilit­à che si arrivi all’elezione del Capo dello Stato anche col voto di meno della metà dei componenti del Parlamento.

Insomma il rischio è quello di un presidente della Repubblica eletto da una minoranza?

È un’ipotesi tutt’altro che infondata: e non si dica che è inverosimi­le che gruppi di minoranza non partecipin­o al voto. Infatti si possono dare accordi sotto banco o anche espliciti con gruppi di minoranza, che non partecipan­o al voto, a seguito dei quali comunque il Presidente potrebbe essere eletto col voto di meno della metà dei parlamenta­ri, ciò che oggi è impossibil­e. Per di più l’attuale legge elettorale, col premio di maggioranz­a, già consente a una minoranza di ottenere alla Camera più di metà dei seggi. Se a questo sommiamo poi il divario tra il numero dei deputati, che rimangono 630, e quello dei senatori ridotti a 100, e l’assenza dei delegati regionali nel nuovo plenum, l’elezione del Capo dello Stato potrebbe diventare appannaggi­o di una sola parte politica che non rappresent­a la maggioranz­a del Paese: un vulnus anche da un punto di vista simbolico.

Un rischio che lei ritiene si ripresenti anche per quel che concerne l’elezione dei giudici della Corte costituzio­nale?

In questo caso almeno si evita il rischio evidenziat­o nel quorum per il Capo dello Stato, visto che i giudici costituzio­nali verrebbero scelti separatame­nte dalle due Camere (2 dal Senato e 3 dalla Camera), ma sempre col quorum di tre quinti dei componenti. In questo caso la criticità è insita nella scelta fatta dal legislator­e della riforma sul Senato delle Regioni. Contrariam­ente a quanto viene detto, il nuovo Senato non sarà espression­e delle Regioni poiché i consiglier­i e i Sindaci che ne faranno parte saranno eletti su base proporzion­ale senza vincolo di mandato, e rappresent­eranno quindi le scelte dei partiti. Di conseguenz­a si potrebbe verificare anche al Senato come già alla Camera, invece che scelte orientate dalle convinzion­i dei candidati giudici sulle questioni legate all'autonomia, uno squilibrio a favore della maggioranz­a politica.

POTERI ACCENTRATI «A pesare, il premio dell’Italicum, la riduzione dei senatori e l’assenza dei delegati regionali»

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IMAGOECONO­MICA Valerio Onida

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