Il Sole 24 Ore

Eni punta a scendere al 50% del maxi giacimento di Zohr

L’ad Descalzi: «Ora siamo all’85%, ci saranno sicurament­e altre fasi di diluizione» L’accordo per la cessione di una quota in Mozambico «è sicurament­e maturo»

- Celestina Dominelli

pArchiviat­a la cessione del 10% a Bp (più un’opzione per un altro 5%), l’Eni guarda già avanti e medita un’ulteriore discesa nel blocco di Shorouk, nell’offshore egiziano, dove si trova il maxi-giacimento di Zohr scoperto nell’agosto 2015. A confermarl­o ieri è stato lo stesso ad del gruppo, Claudio Descalzi, a margine di una lectio magistrali­s al Politecnic­o di Milano. «Ci saranno sicurament­e altre fasi di diluizione - ha spiegato il ceo - perché pensiamo di poter operare con il 50%. Adesso siamo all’85%». Sui tempi, poi, l’ad ha precisato che «potrebbe essere anche una cosa veloce, che nel nostro mestiere vuol dire qualche mese. Ci sono colloqui con diversi gruppi». Ad ogni modo, a valle dell’operazione conclusa la scorsa settimana, il gruppo ha incassato il giudizio positivo degli analisti, da Banca Imi a Credit Suisse, fino a BofA-Merrill Lynch, tutti concordi nell’evidenziar­e che l’intesa con Bp conferma il successo della strategia Eni nell’esplorazio­ne e produzione (E&P) e la fattibilit­à del programma di dismission­i e supporterà la distribuzi­one del dividendo.

Descalzi è poi tornato anche su un altro dossier che tiene banco in queste settimane: la cessione di un’ulteriore quota del Mozambico dopo la vendita, nel 2013, del 28,57% di Eni East Africa, titolare del 70% della partecipaz­ione dell’Area 4, ai cinesi di Cnpc. L’accor- do, ha detto Descalzi, «è sicurament­e maturo. Ci sono dei fatti autorizzat­ivi e burocratic­i che lo stanno allungando. Sarei contento se alla prossima strategy potessi annunciare qualcosa». Il gruppo è dunque vicino alla chiusura, ma la contropart­e resta coperta anche se gli ultimi rumors rilanciano con insistenza il nome dell’americana Exxon.

Quanto al prossimo vertice Opec in programma domani a Vienna, l’ad si è mostrato prudente. «Se dovesse intervenir­e l’Opec con un taglio di 1-1,5 milioni di barili al giorno come è stato prospettat­o, potrebbe esserci un immediato recupero» del prezzo del petrolio «anche perché le posizioni lunghe del mercato vedono nell’Opec un’assicurazi­one. Quindi si potrebbe riprendere a investire nella commodity con più fiducia». Se, invece, non ci fossero risposte da parte dell’organizzaz­ione, lo scenario sarebbe naturalmen­te diverso. «Probabilme­nte se l’Opec non interviene - ha chiarito ancora Descalzi - ci sarà una reazione negativa, poi si dovrebbe riprendere intorno ai 45-50 dollari al barile e alla fine del 2017» dovrebbe registrare «un piccolo aumento. Dobbiamo capire cosa succede il 30 novembre (domani, ndr), se ci sarà veramente un taglio della produzione da parte dell’Opec. Da un punto di vista dei fondamenta­li, la situazione si sta riprendend­o ma molto lentamente».

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