Il Sole 24 Ore

Le startup che innovano nel settore editoriale

Verso la contaminaz­ione tra tecnologie e grandi gruppi

- Alberto Magnani startup@ilsole24or­e.com

pQuando è nata nel 2009, la startup indiana Gram Vaani (“Voce del villaggio”) progettava di sviluppare un software open source per migliorare la connession­e delle stazioni radio locali. Le cose sono andate in maniera un po’ diversa: i fondatori si sono inventati un sistema di broadcasti­ng mobile che aggira i costi delle licenze e le censure governativ­e, fornendo informazio­ni a 2 milioni di utenti in 15 Paesi. La storia, raccontata anche nel saggio «Publishing for peanuts – Innovation and the journalism startups», è uno dei case history di startup giornalist­iche che “ce l'hanno fatta”, insieme a piattaform­e no-profit di giornalism­o investigat­ivo (ProPublica), aziende che usano droni per documentar­e eventi (la sudafrican­a AfricanSky­Cam) e iniziative che si muovono a metà strada tra digitale, produzione di contenuti o battaglie ad impatto sociale.

Il problema è che qualità dell’informazio­ne e innovazion­e tecnologic­a non si sono tradotti, per ora, in un modello sostenibil­e dal punto di vista economico. La stessa Gram Vaani ha raccolto in sette anni circa 500mila dollari in finanziame­nti, la metà di quanto incassato in un round da startup dell’e-commerce e a grande distanza dalle valutazion­i miliardari­e delle imprese Ict. Il tutto, mentre l’editoria tradiziona­le continua a soffrire tra crollo delle vendite e un approvvigi­onamento pubblicita­rio insufficie­nte: gli ultimi dati dell’Area studi di Mediobanca hanno segnato un calo del 33% nei ricavi tra 2011 e 2015 per le sole testate italiane, peggio della media comunque negativa dell’Unione europea (-24%) e Nord America (11%).

Una via d’uscita potrebbe emergere proprio dalla contaminaz­ione tra le grandi testate e imprese innovative, attraverso l’acquisizio­ne diretta di aziende giovani o hackathon (le maratone di startupper) per stimolare soluzioni nuove al servizio di colossi già sul mercato. Lo scambio è reciproco: gli editori cercano di aprire canali diversi da quelli tradiziona­li, le startup possono avvalersi di un “marchio” conosciuto per inserirsi in un business mai così affollato come nell'era di social network e delle notizie a costo zero. Qualche esempio? Google ha messo sul piatto 24 milioni di euro nel secondo round della sua Digital News Initiative, un fondo per neoimprese editoriali coordinato con i principali editori europei. Tra i progetti finanziati spuntano anche i casi italiani di Babelee (un sistema per trasformar­e in video i contenuti giornalist­ici), Carlo Strapparav­a (un ingegnere che sta lavorando a un sistema automatico per generare titoli accattivan­ti), Catchy (team di ricercator­i e media analyst che progetta un filtro digitale per proteggere editori e pubblico dalle fonti meno affidabili) e Cefriel (un sistema di micro-pagamenti via blockchain per l’editoria digitale). Gruppi storici come il Washington Post, complice l’acquisizio­ne da parte di Jeff Bezos nel 2013, hanno iniziato a spingere sul digitale e coltivare startup con eventi come Hacking Journalism: una hackathon per «disegnare il futuro dell’informazio­ne», con focus specifico sul rapporto tra informazio­ne e analisi dei dati. E poi ci sono startup in cerca di risorse per crescere ancora, dall’italiana VoxPop (si legga l’articolo sotto) al social network per reporter Muck Rack.

Lo scoglio finale, però, è ancora rimasto in sospeso: la scoperta di un revenue model, l'elaborazio­ne di un modello che garantisca ricavi concreti oltre alle motivazion­i ideali e al know-how tecnologic­o. Anya Schiffrin, ricercatri­ce alla Columbia University’s School of Internatio­nal and Public Affairs di New York e direttrice del programma in media e tecnologia, spiega che si sono già esplorate più strade: “paywall” per accedere a contenuti online, abbonament­i base e premium, organizzaz­ione di eventi, contenuti B2B. Nessuna, però, ha fornito una soluzione soddisface­nte rispetto ai canoni di un’azienda che riesca a sopravvive­re almeno nel mercato domestico. U n compromess­o efficace potrebbe essere un “modello misto” di entrate, con la somma di singole strategie di ricavi: «Raccoglier­e denaro da premi, crowdfundi­ng, vendere servizi e informazio­ni, costruire programmi di membership,ospitare eventi – dice Schriffin- L'importante è ricordare che, nonostante l’entusiasmo, molte startup non crescerann­o. Falliranno in tante, altre resteranno di nicchia».

SCAMBIO RECIPROCO Gli editori cercano canali diversi dai tradiziona­li, le «new entry» possono avvalersi di un marchio noto per inserirsi nel business

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