Esterovestizioni sotto tiro, spazio alle tutele anti-abuso
In uno studio le proposte dell’associazione
pLe tutele previste per gli accertamenti da abuso del diritto devono essere estese anche alle contestazioni sulla esterovesti
di società. La proposta è contenuta nel documento di As
sugli aspetti societari e fiscali delle imprese multina
Per le controllate estere realmente operative, pure oggetto di accertamenti come entità esterovestite, l’agenzia delle Entrate dovrebbe dettare agli uffici istruzioni volte a distinguere chiaramente tra la direzione e coordinamento tipica di ogni capogruppo e l’effettiva attività gestoria eventualmente svolta nel nostro paese.
Assonime, con il documento note e studi n. 17/2016 (disponibile all’indirizzo www.assonime.it), ha reso noto un studio elaborato dal gruppo di lavoro Imprese Multinazionali, che esamina diverse questioni – sia societarie che fiscali – di interesse delle imprese operanti a livello internazionale.
Tra i molti temi fiscali toccati dal documento, risulta di particolare interesse quello sulle sempre più frequenti contestazioni in materia di esterovestizione. L’amministrazione finanziaria, ricorda Assonime, accerta in capo a società estere con controllante italiana l’esistenza di una sede effettiva nel nostro paese, basandosi, oltre che sulla presunzione fissata dall’articolo 73, comma 5-bis del Tuir per le subholding, su diversi elementi presuntivi (scambi di mail, direttive provenienti dalla capogruppo, ecc.) tendenti a dimostrare che la legal entity estera è “teleguidata” dall’Italia ed in particolare dalla struttura della sua controllante.
Oltre che alle holding (prive di una struttura organizzativa oltreconfine, in quanto di fatto non necessaria per il tipo di attività svolta), la prassi accertativa si spinge a contestare l’esterovestizione a entità realmente operative, cioè dotate, all’estero, di dipendenti, sedi e mezzi strumentali adeguati.
Secondo la tesi sostenuta in diversi recenti accertamenti, queste società sarebbero soggette ad una penetrante attività di direzione dall’Italia e dunque prive di autonomia decisionale in loco.
Assonime, dopo aver ricordato la necessità di distinguere tra il luogo della «direzione e coordinamento» e quello della «sede di direzione effettiva», evidenzia però che l’utilizzo di questa distinzione si scontra, o quanto meno è reso difficoltoso, dalla sempre più ampia integrazione dei gruppi di imprese. I nuovi modelli di business internazionali sono difficilmente compatibili con il tradizionale concetto di sede di direzione effettiva: applicando tale criterio letteralmente, afferma Assonime, si giungerebbe alla conclusione paradossale di dover ritenere tutte esterovestite le consociate estere. Non a caso, nell’ambito del progetto Beps è stato proposto di eliminare dall’articolo 4 dello schema Ocse di convenzione il criterio di sede di direzione effettiva come regola per dirimere eventuali conflitti sulla attribuzione della residenza di una società all’uno o all’altro ordinamento (cosiddetta tie beaker rule).
Nel frattempo, occorrerebbe un intervento che consentisse alle imprese di operare con maggiore serenità. Per le controllate estere operative, sarebbe utile una circolare delle Entrate che distingua chiaramente l’attività di direzione e coordinamento della casamadre dall’attività gestoria, evitando pericolose confusioni da parte degli organi verificatori.
Sarebbe poi opportuno consentire un ruling preventivo per valutare questo profilo. Infine, con un provvedimento normativo si dovrebbero estendere agli accertamenti sulla esterovestizione le stesse garanzie procedimentali previste per l’abuso del diritto dall’articolo 10-bis della L. 212/2000.
IL PUNTO CRITICO Per le controllate estere realmente operative, bisognerebbe distinguere tra le funzioni di direzione e l’effettiva attività gestoria