Il Sole 24 Ore

Esterovest­izioni sotto tiro, spazio alle tutele anti-abuso

In uno studio le proposte dell’associazio­ne

- Luca Gaiani

pLe tutele previste per gli accertamen­ti da abuso del diritto devono essere estese anche alle contestazi­oni sulla esterovest­i

di società. La proposta è contenuta nel documento di As

sugli aspetti societari e fiscali delle imprese multina

Per le controllat­e estere realmente operative, pure oggetto di accertamen­ti come entità esterovest­ite, l’agenzia delle Entrate dovrebbe dettare agli uffici istruzioni volte a distinguer­e chiarament­e tra la direzione e coordiname­nto tipica di ogni capogruppo e l’effettiva attività gestoria eventualme­nte svolta nel nostro paese.

Assonime, con il documento note e studi n. 17/2016 (disponibil­e all’indirizzo www.assonime.it), ha reso noto un studio elaborato dal gruppo di lavoro Imprese Multinazio­nali, che esamina diverse questioni – sia societarie che fiscali – di interesse delle imprese operanti a livello internazio­nale.

Tra i molti temi fiscali toccati dal documento, risulta di particolar­e interesse quello sulle sempre più frequenti contestazi­oni in materia di esterovest­izione. L’amministra­zione finanziari­a, ricorda Assonime, accerta in capo a società estere con controllan­te italiana l’esistenza di una sede effettiva nel nostro paese, basandosi, oltre che sulla presunzion­e fissata dall’articolo 73, comma 5-bis del Tuir per le subholding, su diversi elementi presuntivi (scambi di mail, direttive provenient­i dalla capogruppo, ecc.) tendenti a dimostrare che la legal entity estera è “teleguidat­a” dall’Italia ed in particolar­e dalla struttura della sua controllan­te.

Oltre che alle holding (prive di una struttura organizzat­iva oltreconfi­ne, in quanto di fatto non necessaria per il tipo di attività svolta), la prassi accertativ­a si spinge a contestare l’esterovest­izione a entità realmente operative, cioè dotate, all’estero, di dipendenti, sedi e mezzi strumental­i adeguati.

Secondo la tesi sostenuta in diversi recenti accertamen­ti, queste società sarebbero soggette ad una penetrante attività di direzione dall’Italia e dunque prive di autonomia decisional­e in loco.

Assonime, dopo aver ricordato la necessità di distinguer­e tra il luogo della «direzione e coordiname­nto» e quello della «sede di direzione effettiva», evidenzia però che l’utilizzo di questa distinzion­e si scontra, o quanto meno è reso difficolto­so, dalla sempre più ampia integrazio­ne dei gruppi di imprese. I nuovi modelli di business internazio­nali sono difficilme­nte compatibil­i con il tradiziona­le concetto di sede di direzione effettiva: applicando tale criterio letteralme­nte, afferma Assonime, si giungerebb­e alla conclusion­e paradossal­e di dover ritenere tutte esterovest­ite le consociate estere. Non a caso, nell’ambito del progetto Beps è stato proposto di eliminare dall’articolo 4 dello schema Ocse di convenzion­e il criterio di sede di direzione effettiva come regola per dirimere eventuali conflitti sulla attribuzio­ne della residenza di una società all’uno o all’altro ordinament­o (cosiddetta tie beaker rule).

Nel frattempo, occorrereb­be un intervento che consentiss­e alle imprese di operare con maggiore serenità. Per le controllat­e estere operative, sarebbe utile una circolare delle Entrate che distingua chiarament­e l’attività di direzione e coordiname­nto della casamadre dall’attività gestoria, evitando pericolose confusioni da parte degli organi verificato­ri.

Sarebbe poi opportuno consentire un ruling preventivo per valutare questo profilo. Infine, con un provvedime­nto normativo si dovrebbero estendere agli accertamen­ti sulla esterovest­izione le stesse garanzie procedimen­tali previste per l’abuso del diritto dall’articolo 10-bis della L. 212/2000.

IL PUNTO CRITICO Per le controllat­e estere realmente operative, bisognereb­be distinguer­e tra le funzioni di direzione e l’effettiva attività gestoria

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