Il Sole 24 Ore

Legittimo il doppio recesso per motivazion­i diverse

- Angelo Zambelli

pCon la sentenza 24027, depositata il 24 novembre 2106, la Corte di cassazione torna a occuparsi delle modalità di calcolo delle assenze per malattia del lavoratore al fine di accertare il superament­o del periodo di comporto.

Oggetto del giudizio era la computabil­ità, accanto ai giorni di effettiva malattia, anche «dei giorni non lavorativi, delle domeniche e delle festività preceduti e seguiti, senza soluzione di continuità, da periodi di malattia». Investita della questione, la Cassazione ha ribadito il proprio orientamen­to circa «la necessità di tener conto, ai fini del calcolo del comporto, dei giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell’episodio morboso» (Cassazione 24 settembre 2014, n. 20106; 15 dicembre 2008, n. 29317; 23 giugno 2006, n. 14633; 10 novembre 2001, n. 21385).

La presunzion­e di continuità – a giudizio della Corte - opera sia per le festività e i giorni non lavorativi che cadano nel periodo della certificaz­ione, sia nella diversa ipotesi di certificat­i in sequenza di cui il primo attesti la malattia sino all’ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale (ossia fino al venerdì) e il secondo la certifichi dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica (ovvero dal lunedì), sicché «i soli giorni che il lavoratore può legittimam­ente richiedere che non siano conteggiat­i nel periodo di comporto sono quelli successivi al suo rientro in servizio (in questo senso, Cassazione 29 dicembre 2008 n. 29317; 10 novembre 2004 n. 21385)».

La sentenza si rivela però interessan­te anche per un secondo profilo. Emerge infatti che «all’oscuro del licenziame­nto già adottato ma non ancora comuni- cato», il lavoratore si era recato in azienda per riprendere servizio e, in quell’occasione, aveva subito un infortunio che aveva comportato altri giorni d’assenza.

Consideran­do «scorretto e contrario a buona fede» il comportame­nto in questione, la datrice di lavoro aveva avviato un procedimen­to disciplina­re conclusosi con l’irrogazion­e di un secondo licenziame­nto, stavolta per giusta causa.

Il dipendente aveva contestato la legittimit­à del doppio provvedime­nto espulsivo, osservando come o il primo licenziame­nto debba intendersi implicitam­ente revocato o l’intimazion­e del secondo licenziame­nto debba essere preclusa dall’efficacia del primo atto di recesso.

Entrambi i motivi di ricorso vengono però respinti dalla Cassazione, secondo cui l’iniziativa disciplina­re avviata nei confronti del lavoratore «non solo non era di per sé incompatib­ile con il primo atto adottato, ma anzi era sintomatic­a della volontà reiterata di porre termine al rapporto». Con riferiment­o, quindi, alla possibilit­à di un doppio recesso dell’azienda, la Corte ha ribadito il principio secondo cui «il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziame­nto per una determinat­a causa o motivo, può legittimam­ente intimargli un secondo licenziame­nto, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo»(Cassazione 20 gennaio 2011, n. 1244).

La conseguenz­a è che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattame­nte idonei a raggiunger­e lo scopo della risoluzion­e del rapporto: il secondo licenziame­nto diviene produttivo di effetti se il primo viene riconosciu­to invalido o inefficace.

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