La scommessa dei «ribassisti»
Dopo i rumors sulla Bce e dopo i rialzi dei titoli bancari italiani, si direbbe: tanto rumore per nulla. Se non fosse che, grazie a quel rumore, agita- to spesso in modo strumentale, tanti investitori anglosassoni hanno fatto un sacco di soldi, vendendo allo scoperto.
Piacerebbe sapere come reagirebbe adesso l’economista di una banca tedesca che, non più tardi di ieri mattina, con spavalda certezza, aveva dichiarato a Reuters: «Penso che il mercato sottostimi le conseguenze di lungo periodo di un “No” (al referendum del 4 dicembre)». Di fronte alla probabile reazione della Bce, che acquisterebbe più Btp se si acuisse il disagio sul mercato, dovrebbe solo sprofondare dalla vergogna. Perché l’intervento della banca centrale sarebbe, più che prevedibile, pressoché certo. Eppure dal sondaggio Reuters, condotto tra il 24 e il 25 novembre, ossia quando lo spread sul Bund aveva toccato i massimi da quasi 3 anni (192 punti), si apprende che gran parte degli operatori s’attendevano un premio ancor più alto (almeno altri 25 centesimi) per il Btp.
Per l’economista della banca tedesca, e secondo un’opinione assai diffusa tra gli operatori, il no al referendum sarebbe equivalente a un no all’euro. A parte l’ardita semplificazione del ragionamento, qualche investitore avrebbe dovuto domandarsi perché mai l’uscita dell’Italia dalla moneta unica, ovvero il disfacimento di questa unione monetaria, dovesse risultare quasi ininfluente per la Spagna (lo spread dei Bonos è aumentato di una trentina di centesimi dai minimi relativi di agosto) e addirittura benefico per la Grecia, il cui spread s’è invece ridotto di due buoni punti percentuali.
Infatti, più di un investitore s’è posto questa domanda e, come al solito, è stato tra gli hedge fund che, nelle ultime due settimane, o hanno ridotto le posizioni al ribasso sui Btp o le hanno persino ribaltate al rialzo. Non è un caso che il recupero dei titoli di stato italiani (e lo stesso vale per le azioni delle banche) sia ieri partito a inizio seduta, quattro ore prima dell’intervento della Bce. Analogamente si stanno riducendo (e non da ieri) le posizioni al ribasso sui titoli bancari, poiché il pessimismo, così platealmente marcato dai grandi broker internazionali e da buona parte della stampa finanziaria anglosassone, aveva già fatto il suo compito: quello di preparare il terreno a un’ondata di vendite allo scoperto che lo stesso ad di Borsa italiana ha definito «colossali».
L’apparente irrazionalità dei mercati, con tutti i suoi eccessi e il catastrofico scenario che è stato dipinto, si rivela dunque in tutta la sua proficua strumentalità. Su Btp e titoli bancari, i grandi investitori hanno fatto soldi a palate, vendendo da almeno due mesi, e si apprestano a farne degli altri, cavalcando il probabile rialzo dei corsi dei Btp e dei prezzi delle azioni, indipendentemente dall’esito del referendum. Persino sulla presunta disfatta che incomberebbe sulle banche italiane in difficoltà potremmo vedere sorprese positive, specie se la conversione dei bond del
OPPORTUNISMO Il ciclo di vendite allo scoperto ha fatto il suo corso e, a prescindere dal referendum, il mercato è pronto al rialzo
MontePaschi dovesse rivelarsi superiore alle attese, come già qualche investitore inizia a ipotizzare.
Ovviamente l’evento meno prevedibile sarebbe la vittoria del «sì» al referendum, e questa ipotesi, proprio perché non accarezzata dal mercato, risulterebbe euforica per Btp e azioni. In ogni caso, c’è la sensazione che il ciclo della speculazione abbia fatto il suo corso. Non significa che l’orizzonte si faccia sereno, poiché nel medio periodo, a prescindere dal referendum italiano, i grandi investitori anglosassoni torneranno a premere con le loro scommesse sul possibile disfacimento dell’euro. Ma è chiaro che non sarà un «No» domenica a motivarli, quanto quello che avverrà nelle elezioni politiche del prossimo anno: in Olanda, Francia e Germania.