Il Sole 24 Ore

Ecco chi specula contro l’Italia

- Di Morya Longo

Un misto di speculazio­ne internazio­nale e di indifferen­za italiana. Di hedge fund ribassisti e di investitor­i nazionali ormai meno nazionalis­ti. C’è un po’ di tutto dietro la turbolenza dello spread. Il Sole 24 Ore, incrociand­o testimonia­nze e dati, è in grado di rivelare i retroscena dell’attacco all’Italia.

Il referendum è solo il pretesto: nella realtà lo spread si è allargato fino a quota 190 (e ieri bruscament­e ristretto) per una concomitan­za di motivi. La Bce, con i suoi acquisti di BTp, è riuscita solo a mitigare la speculazio­ne. Ma - per la prima volta da quando Draghi ha avviato il quantitati­ve easing - non ad annullarla. Ecco, numeri e testimonia­nze alla mano, perché.

Hedge fund ribassisti

A pesare sui BTp è innanzitut­to la speculazio­ne internazio­nale, ad opera principalm­ente degli hedge fund. I gestori di questi fondi hanno infatti individuat­o nel debito pubblico italiano (e nelle banche) la gallina dalle uova d’oro con cui fare un po’ di utili in vista del referendum: basta puntare sul ribasso dei prezzi e sul rialzo dei rendimenti sfruttando l’incertezza generale. E così, soprattutt­o attraverso i futures, il tiro a segno sui BTp è diventato di moda almeno da ottobre.

Secondo Alok Modi, capo della sala di trading di bond governativ­i di Morgan Stanley, su una scala da uno a 10 gli hedge fund sono ribassisti sui BTp ad un livello di nove. O meglio: questa era la loro posizione fino a settimana scorsa. Ieri è verosimile - come ipotizza Mattia Nocera che segue i fondi di fondi del gruppo Banca del Ceresio - che siano scattate un po’ di ricopertur­e: per questo il mercato è rimbalzato così velocement­e. Ma il trend resta quello ribassista: come si vede nel grafico a fianco, è da ottobre che gli hedge fund montano posizioni «corte» (cioè ribassiste) sui BTp.

Alla speculazio­ne opportunis­tica del momento, poi, si è associato un tono prudente degli altri investitor­i internazio­nali. Anche quelli non speculativ­i: banche, assicurazi­oni, fondi di lungo termi- ne. Nell’incertezza pre-referendar­ia (incertezza, non attesa di catastrofi), in tanti hanno ridotto o limato l’esposizion­e sull’Italia. «In fondo il mondo è grande, non abbiano alcun motivo per esporci sui titoli di Stato italiani in un momento così delicato...» confessa il responsabi­le mercati di una grande banca internazio­nale. Morale: dall’estero tanti speculano contro i BTp e tanti altri si tengono alla finestra. Il saldo finale è quindi negativo per i nostri titoli di Stato.

Manca il sostegno domestico

Nelle passate crisi dello spread, a partire da quella del 2011, a fronte di una forte speculazio­ne internazio­nale aveva fatto da contrappes­o una altrettant­o forte risposta da parte del sistema finanziari­o italiano. Tutti, cioè banche, assicurazi­oni e risparmiat­ori, avevano comprato BTp a quei tempi. Dal novembre 2011 (quando scoppiò la crisi dello spread) all’ottobre 2012 le banche italiane hanno per esempio acquistato titoli di Stato italiani per un ammontare di circa 140 miliardi di euro. E un compor- tamento analogo l’avevano avuto le assicurazi­oni.

Ora, invece, le banche italiane non sono più così interventi­ste. Anzi: gli ultimi dati di Bankitalia (aggiornati solo a settembre) dimostrano che stanno lievemente vendendo: se a giugno 2016 avevano in bilancio titoli di Stato italiani per 414 miliardi, a settembre la posizione era stata ridimensio­nata a 394 miliardi. Secondo le testimonia­nze che arrivano dal mercato, anche le assicurazi­oni italiane sono oggi meno disposte a sostenere i BTp. Per molteplici motivi. E un discorso analogo si può fare per i piccoli risparmiat­ori, ormai - a causa di tassi d’interesse bassi - disaffezio­nati ai titoli di Stato. Le loro scelte si stanno dirottando più sui fondi, che investono sempre più su mercati esteri. Bene inteso: gli investitor­i italiani restano “stabilizza­tori” fondamenta­li per i BTp. Ma sono meno interventi­sti di un tempo. E questo pesa.

A confermarl­o è Target 2, cioè il grande “registrato­re di cassa” che monitora i movimenti di capi- tali tra un Paese e l’altro dell’area euro. L’Italia ha infatti su Target 2 un passivo record di 354 miliardi di euro. Il motivo principale è tecnico, perché legato alle modalità di esecuzione del «quantitati­ve easing». Ma secondo molti esperti, dietro il tecnicismo c’è anche una reale uscita di capitali dall’Italia ad opera principalm­ente di investitor­i italiani: «I soldi stampati da Draghi con il Qe sono stati usati dagli italiani per comprare soprattutt­o titoli all’estero», spiega Fabio Balboni, economista di Hsbc, osservando Target 2. Morale: la speculazio­ne internazio­nale è arrivata in un momento in cui gli investitor­i italiani - per vari motivi - non sostengono più i titoli di Stato della Penisola come facevano un tempo.

Il possibile rimbalzo

Gli acquisti della Bce hanno ovviamente mitigato la speculazio­ne. Infatti lo spread è ben lontano dai livelli del 2011 e del 2012. Eppure, per la prima volta da quando esiste il quantitati­ve easing, Draghi non è riuscito ad annullarla del tutto. Questo deve far riflettere. E, forse, anche far bene sperare: perché la speculazio­ne ribassista non può durare in eterno, soprattutt­o - come accaduto ieri - se la Bce fa sentire la voce più forte.

Molti addetti ai lavori non sarebbero infatti sorpresi se dopo il referendum, anche in caso di vittoria del «no», dopo un’iniziale turbolenza il mercato dei BTp rimbalzass­e: perché, seguendo il motto «buy on rumor sell on news», molti hedge fund potrebbero chiudere o ridimensio­nare le loro posizioni ribassiste. Ieri già c’è stato un assaggio di rimbalzo. Certo, il «day after» dipenderà molto dall’aumento del Montepasch­i e da cosa farà la Bce l’8 dicembre. Ma Brexit e Trump una cosa l’hanno insegnata: la speculazio­ne è mutevole.

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