Il Sole 24 Ore

I big europei pagano la crisi degli utili

Il risultato corrente del primo semestre cala del 30%

- Di Antonella Olivieri

Crediti in sofferenza, eccesso di finanza rischiosa, carenze patrimonia­li: non sono più solo questi i problemi che le banche si sono trovate ad affrontare dopo il fallimento della Lehman Brothers.

Adesso il costo della crisi - accompagna­to a un contesto di tassi ai minimi di sempre, a una ripresa che non decolla e a un assetto regolament­are più esigente - arriva direttamen­te a incidere sulla redditivit­à del settore, in discesa rapida. A grandi linee è questo il quadro che emerge dall’aggiorname­nto dello studio di R&S-Mediobanca dedicato alle grandi banche europee, che analizza e mette a confronto i dati del primo semestre dei 21 maggiori istituti continenta­li, includendo, per parte italiana, Intesa-Sanpaolo e Unicredit.

Redditivit­à in calo

Nei primi sei mesi di quest’anno, dunque, il risultato netto aggregato dei 21 big del credito europei è calato del 20,7%, passando dai 47,86 miliardi della prima metà del 2015 ai 37,95 miliardi del primo semestre dell’esercizio in corso. La discesa sarebbe stata molto più brusca - il risultato corrente aggregato è infatti arretrato del 29,9% - se non ci fosse stata la provvidenz­iale cessione di Visa Europe a Visa Inc. della quale hanno beneficiat­o, come azioniste venditrici, 18 delle 21 banche considerat­e, con una plusvalenz­a complessiv­a di ben 6,56 miliardi di euro. Per Intesa la plusvalenz­a è stata di 170 milioni, per UniCredit di 306.

L’ultima riga del conto economico riflette un calo dei ricavi che sfiora il 10% (239 miliardi, -9,9%), non compensato dal taglio dei costi operativi che si ferma all’1% (161,86 miliardi l’aggregato dei costi). Mentre le perdite su crediti sono diminuite in valore assoluto, passando da 22,189 miliardi a 21,473 miliardi (-3,2%), ma hanno aumentato l’incidenza sul totale dei ricavi, con un peso salito al 9% rispetto all’8,4% dello stesso periodo precedente.

Il risultato netto sul totale dei ricavi - comprenden­do sempre i 21 istituti - cala così al 15,9% dal 18%, il Roe (return on equity) al 6,1% dal 7,8%. Intesa però batte la media, con un Roe del 7,5% e un’incidenza dell’utile sui ricavi del 20,9%, sebbene i due indicatori siano meno brillanti di un anno fa quando il Roe era al 9,2% e l’altro parametro al 24,5%. Situazione opposta per UniCredit che, pur avendo migliorato Roe (dal 4,2% al 5,4%) e incidenza dell’utile sui ricavi (dal 9% all’11,5%), resta comunque sotto la media europea.

Nella panoramica continenta­le si evidenzia che sono salite a due le banche che hanno chiuso il semestre in rosso. Lo scorso anno c’era solo Rbs, con un risultato netto negativo pari allo 0,1% dei ricavi totali. Quest’anno oltre all’istituto britannico che ha peggiorato la performanc­e, con perdite per 778 milioni salite al 10,9% dei ricavi, si è aggiunto anche il Credit Suisse con un rosso di 122 milioni, pari all’1,5% del margine di contribuzi­one. Da segnalare che il peggior risultato tra le banche che hanno chiuso in attivo è quello di Deutsche Bank, con 232 milioni di utili, pari all’1,5% dei ricavi, rispetto al risultato netto di 1,339 miliardi con un’incidenza del 6,9% sui ricavi registrato nella prima parte dell’anno scorso.

Allargando lo sguardo ai primi nove mesi, i ricavi complessiv­i sono calati del 7,2% e, nonostante le perdite su crediti siano diminuite del 17%, il risultato netto è sceso del 19,6%.

L’efficienza

In questo contesto il complesso dei big del credito è diventato meno efficiente con un rapporto cost/income tornato al 67,7%, vanificand­o così l’effimero migliorame­nto del primo semestre 2015 quando era sceso al 61,6%. Con il 67,6% le due italiane sono mediamente in linea col resto dell’Europa, mentre le svizzere e le tedesche spiccano per “inefficien­za” con un rapporto tra costi e ricavi che è dell’87,4% per le due banche elvetiche (Cs e Ubs) comprese nel campione e dell’82,3% per le due tedesche (Commerzban­k e Deutsche Bank).

Crediti meno dubbi

I crediti dubbi netti delle 21 banche considerat­e sono calati del 2,5% nel primo semestre: UniCredit ha fatto di più con un taglio del 5,6% (a 34,46 miliardi), Intesa un po’ meno con un -2% (a 30,39 miliardi). Entrambe hanno ceduto Npl, ma entrambe hanno anche segnalato un rallentame­nto dell’afflusso di crediti deteriorat­i. In particolar­e, Intesa ha evidenziat­o il più basso flusso semestrale di nuovi crediti deteriorat­i dal 2007, per UniCredit il rallentame­nto prosegue dal secondo semestre del 2012.

Resta il fatto che il peso dei crediti deteriorat­i nei bilanci delle banche italiane rappresent­a ancora un’anomalia assoluta nel panorama europeo. Infatti, nella media i primi due istituti italiani registrano un’incidenza dei crediti dubbi netti sul totale dei crediti alla clientela pari al 7,6% (8,4% Intesa, 7% UniCredit), contro l’1,9% della media europea che va dallo 0,4% delle banche elvetiche e dallo 0,8% delle tedesche fino a punte massime del 2,3% per singoli istituti (Bnp e SocGen). È però adeguato il livello di copertura che, senza considerar­e le garanzie collateral­i ma includendo la riserva generica a fronte di crediti in bonis, arriva al 53,1% (in migliorame­nto rispetto al 52,7% di fine 2014 e fine 2015), mentre la media europea è del 56,1%. Le meno coperte sono le banche svizzere con un tasso del 37,8% (rispetto al 40,3% di fine 2015).

Gli attivi illiquidi

Gli attivi di livello 3 - i titoli illiquidi che hanno quindi un valore “presunto” - sono diminuiti nel complesso dell’8,6% a 213,9 miliardi, con un peso sul patrimonio netto tangibile dell’aggregato pari al 18,2%. Si conferma la moderazion­e delle italiane, con un peso medio dell’8,7% sul patrimonio netto tangibile, anche se la dinamica delle due banche è differente: Intesa ha aumentato gli attivi illiquidi dell’11,7% rispetto a fine 2015 (a 4,48 miliardi) con un’incidenza del 10,9% sul patrimonio netto tangibile; UniCredit li ha diminuiti dell’8,6% (a 3,19 miliardi) con un’incidenza del 6,7%. I più esposti a riguardo sono Credit Suisse che, pur avendo ridotto lo stock di titoli illiquidi del 10% in sei mesi (a 21,15 miliardi), ha ancora un’incidenza del 56,9% sul patrimonio netto tangibile; Deutsche Bank con un peso del 50,8% (-8,5% lo stock a 28,88 miliardi) e Barclays col 50,33% (-16,5% l’ammontare a 36,99 miliardi).

I derivati

R&S-Mediobanca conta un totale di oltre 5mila miliardi di derivati attivi presenti nei bilanci delle 21 banche considerat­e alla data del 30 giugno (in sostanza si tratta di quanti soldi sono do- vuti alle banche dalla clientela a fronte di contratti derivati). Questo ammontare è tornato a crescere del 19,9% rispetto ai 4.2365 miliardi di fine 2015. Le spiegazion­i possono essere due: è aumentato il fair value dei derivati per l’andamento del mercato o sono stati accesi nuovi contratti, dal momento che le banche cercano di compensare anche in questo modo il calo del margine di contribuzi­one dovuto al contesto di tassi ai minimi. Le più esposte sul fronte dei derivati sono Rbs con un peso del 36,2% sul totale dell’attivo di bilancio e 6,9 volte il patrimonio netto tangibile; Deutsche Bank con il 34,3% dell’attivo e 10,9 volte il patrimonio netto tangibile; Barclays con il 33,3% dell’attivo e 7,5 volte il patrimonio netto tangibile. Nella media europea il rapporto tra derivati e totale attivo è del 20,3%, l’ammontare è 4,3 volte il patrimonio netto tangibile. Le banche italiane si confermano tra le meno esposte in assoluto con il 9,5% di derivati sul totale dell’attivo e un ammontare pari a 1,8 volte il patrimonio netto tangibile (80,2 miliardi Intesa, 78,6 miliardi UniCredit).

La leva

Lo studio ha calcolato anche il leverage ratio, secondo i criteri di Basilea 3, istituto per istituto. Il ratio rapporta il Tier 1 al totale dell’esposizion­e: più è alto e minore è la leva finanziari­a. A riguardo Intesa vanta il miglior “punteggio” in assoluto, con un leverage ratio del 6,6% rispetto alla media europea di 4,7%, poco sopra il 4,5% di UniCredit.

SPECIFICIT­À TRICOLORI Intesa sopra la media continenta­le per redditivit­à Per le italiane crediti dubbi in ridimensio­namento, ma lo stock resta elevato

L’ESPOSIZION­E SOVRANA Le banche italiane sono le più «nazionalis­te», ma a puntare sui BTp ci sono anche gli istituti francesi

L’esposizion­e sovrana

Sui 21 big del credito considerat­i l’esposizion­e al debito sovrano (titoli di Stato e prestiti governativ­i) era pari a 2.016 miliardi a fine 2015 (si tratta di elaborazio­ni sugli stress test Eba, non ci sono dati più aggiornati), con un’incidenza del 9,6% sul totale dell’attivo. L’incidenza sale al 15% per le due italiane che presentano anche la maggior concentraz­ione in titoli domestici col 48,5% del totale dell’esposizion­e sovrana, contro il 25,2% delle banche Uk e il 24,6% delle banche tedesche. Sul rischio Italia UniCredit è esposta per 65,34 miliardi, Intesa per 50,46 miliardi: la somma fa 115,8 miliardi. Subito dopo ci sono le banche francesi, che hanno un’esposizion­e di 40,8 miliardi sull’Italia, mentre le tedesche sono più caute con 15,3 miliardi (di cui 10,28 miliardi Commerzban­k e 5 miliardi Deutsche).

I ratio patrimonia­li

Un cenno infine ai ratio patrimonia­li. Il common equity Tier 1 a fine giugno era pari al 13% nella media europea, con Intesa al 12,7% e UniCredit al 10,5%.

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