La «protezione» sui titoli che frena gli attacchi ai Buoni
L’effetto stabilizzatore dell’Eurosistema e della Banca d’Italia
Lo spread tra BTp e Bund si è allargato dai 120 punti di fine settembre ai 190 punti di questi giorni con una velocità, un’intensità e una potenza tali da risvegliare il ricordo del Grande Incubo, di quando l’Italia finì sull’orlo del baratro finanziario, nel novembre del 2011 e poi ancora a metà del 2012. Ma il mercato dei titoli di Stato è molto diverso oggi rispetto a quegli anni bui, il debito pubblico italiano è ora soprattutto in mano agli italiani, e comunque è cambiato e molto il contesto generale.
In quegli anni di picco della Grande Crisi del debito, l’Italia entrava in una seconda recessione, il debito/Pil cresceva dal 116% al 123%, i rendimenti tra BoT e BTp oscillavano tra il 6% e l’8% sul mercato primario e secondario, lo spread tra BTp e Bund toccava le sue punte massime fino a quota 575. Ora l’Italia ha un debito/Pil più elevato, attorno al 133%, ma è uscita dalla recessione e cresce, anche se di poco, mentre i rendimenti dei BTp decennali per quanto sotto stress sfiorano solo il 2% - ancora ieri l’asta è stata chiusa con un tasso di assegnazione all’1,97% - mentre i BoT continuano a viaggiare a rendimenti negativi (in asta questa settimana collocati a -0,19%).
Tra le tante variabili in campo che fanno la differenza, nel 2012 comparse a sorpresa il “whatever it takes “di Mario Draghi, lo scudo delle OMTs, una protezione virtuale mai utilizzata (si legga articolo sopra) mentre oggi sui BTp vale il sostegno in corso ed effettivo del QE attraverso il Public sector purchase programme, mirato a far ripartire l’inflazione e riportarla vicina ma sotto il 2%.
Un’altra importante differenza, tra ieri e oggi sul mercato del debito pubblico negoziato, sta nella tipologia dei detentori dei titoli di Stato: la quota in mano agli stranieri era rilevante quando scoppiò la Grande Crisi, mentre il peso degli investitori esteri oggi si è molto ridimensionato. Il fatto che il debito pubblico italiano sia prevalentemente posseduto gli italiani ora è una forma di protezione, stempera l’esposizione dei titoli di Stato agli attacchi speculativi provenienti dall’estero. Dall’altro lato, però, un continuo crollo dei prezzi con impennata dei rendimenti dei titoli di Stato postreferendum - se prolungato e pesante in caso in cui l’ instabilità politica sfoci in un lungo periodo di ingovernabilità - produrrebbe perdite pesanti nei bilanci di banche e compagnie di assicurazione italiane, danneggiando comunque il sistema-Italia. Gli unici a “salvarsi” sarebbero i risparmiatori, che hanno ridotto drasticamente il loro possesso di titoli di Stato italiani dalla creazione dell’euro ad oggi.
La torta del debito pubblico, se analizzata attraverso le lenti della tipologia dei detentori di bond, è totalmente diversa ora rispetto a quando decollò l’euro e alla Grande Crisi del 2010. Si stima che nel dicembre 1998, prima del lancio della moneta unica, i titoli di Stato italiani fossero ripartiti in queste percentuali di possessori: 28% investitori esteri (escluso l’Eurosistema e gestioni patrimoniali, fondi comuni riconducibili a risparmiatori italiani), attorno al 6% Banca d’Italia, 15% banche italiane, 16% fondi comuni italiani, 7% assicurazioni italiane, 20% famiglie italiane. All’avvio della crisi del debito sovrano dell’euro, nel 2010, le rispettive quote stimate erano le seguenti: stranieri 47%, Banca d’Italia scesa al 4%, le banche 10%, i fondi 5% , le assicurazioni 9%, le famiglie 13% e l’entrata in campo dell’Eurosistema (esclusa la Banca d’Italia) al 5%. L’ultimo dato disponibile per quest’anno si ferma a giugno: Eurosistema al 9%, detentori esteri al 28% (ma oggi potrebbero essere più vicini al 25% dopo il sell-off autunnale), Banca d’Italia 11%, banche italiane 19%, fondi calati al 3% e compagnie di assicurazione salite al 16%, le famiglie crollate al 6%.
Queste percentuali, che sono stime, fanno capire meglio la por- tata dell’esposizione delle varie categorie di investitori e le oscillazioni in rialzo o in ribasso quando riportate in miliardi di euro: il totale del debito pubblico di riferimento al giugno 2016 è 2.200 miliardi, contro i 1550 di fine 2009. La quota dei titoli di Stato italiani detenuti dalle banche italiane, per esempio, è salita dai 160 miliardi pre-Grande Crisi agli attuali 400 miliardi. L’esposizione delle compagnie di assicurazione verso il debito pubblico è schizzata dai 150 miliardi preGrande Crisi ai 350 miliardi ora. L’Eurosistema e la Banca d’Italia hanno ora un peso maggiore come detentori di debito pubblico italiano e per questo hanno un effetto stabilizzatore: il possesso è salito dai rispettivi 70 e 60 miliardi pre-Grande Crisi agli attuali 200 e 250 miliardi. Le famiglie italiane, che nel 2002 possedevano titoli di Stato attorno ai 300 miliardi, ora 130 miliardi circa.
La vulnerabilità del sistemaItalia è data dal rapporto debito/ Pil e dalla dimensione crescente dell’enorme stock di debito pubblico: la recessione, la stagnazione, la crescita bassa, shock esterni, ingovernabilità sono tutti scenari negativi in un Paese ultraindebitato. Il fatto che il debito pubblico sia ora maggiormente in mano agli italiani mette i titoli di Stato più al riparo dalle ondate speculative provenienti dall’esterno: tuttavia, banche e investitori istituzionali italiani restano esposti e quindi vulnerabili al ribasso dei prezzi. Il sistema più sicuro, in teoria, è quello giapponese: si prevede che la Banca del Giappone tra qualche anno sarà l’unico possessore di titoli di Stato giapponesi, deterrà il 100% del debito pubblico, una forma moderna di helicopter money.