Le resistenze al cambiamento e l’urgenza della crescita
L’Ocse ha appena spiegato nel suo ultimo rapporto che in Italia c'è spazio per un aumento degli investimenti pubblici di uno 0,5% del Pil nei prossimi cinque anni. Aumentare questo particolare tipo di spesa, hanno spiegato gli esperti di Angel Gurria, favorirebbe quell’aumento di prodotto superiore alla crescita del debito - oggi pari al 132% del Pil - che è l’ingrediente decisivo per ridurre il macigno che schiaccia l'economia italiana e rende anemico il suo sviluppo. Non basta: il Fmi e la Bce di Mario Draghi non perdono occasione per ricordare che se fosse la Germania a schiacciare il pedale dell’ acceleratore degli investimenti pubblici, magari garantendone un incremento dell’1%, si avrebbe un aumento intorno allo 0,5% del Pil dell'Eurozona.
Anche sulla base di questev alutazioni, che fanno oramai parte del nuovo senso comune degli organismi sovranazionali, (quello per il quale la politica monetaria ultra-accomodante ha fatto quasi tutto ciò che poteva fare e spetta perciò alla fiscal policy, ora, garantire una crescita più inclusiva) la Commissione europea ha prodotto una comunicazione sull’intonazione della politica di bilancio dell’Eurozona. Vi si spiega che, poiché nei paesi ad alto debito pubblico una politica di bilancio troppo attiva potrebbe comportare problemi di sostenibilità delle finanze pubbliche, il necessario stimolo fiscale dovrebbe arrivare dagli Stati che si trovano in surplus delle partite correnti, a cominciare da Germania e Olanda. E si sottolinea che per ottenere un aumento della crescita nell’Eurozona pari a mezzo punto di Pil nel 2017 è auspicabile uno stimolo fiscale aggiuntivo di 50 miliardi di euro. Con queste premesse l’esternazione del vicepresidente Ue, Ieroen Dijssembloem (è prioritariosalvaguardareilpattodistabilità e per chi ha spazio di bilancio non deve essere previsto nessun obbligo di agire, ha sostenuto ieri) e la sua critica alla Commissione - impropria perché la Comunicazione sulla fiscal stance non fissa alcun obbligo - appare per quel che è: una pedissequa traduzione dal tedesco del pensiero del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble; il quale ha già fatto sapere che, per parte sua, sente poco dall’orecchio della generosità fiscale versoi partner.
Quella andata in scena ieri, quindi, oltre ad essere un’anticipazione del dialogo tutt’altro che facile fra i ministri dell’Eurozona di lunedì prossimo - il giorno successivo al referendum italiano - è anche una dimostrazione di quanto sia complicato, in questo momento, procedere nella costruzione europea. E, come dice Mario Draghi, una casa incompleta non è una casa stabile. Si potrebbe tuttavia prendere per buono un suggerimento implicito in quello che è stato definito il “mantra rigorista”: per irrobustire la crescita italiana contano molto alcune riforme di fondo che il nostro paese non riesce ancora a compiere, anche per uno problema di tipo istituzionale. Come spiega l’economista Alfredo Macchiati nel suo volume “Perché l’Italia cresce poco”, presentato ieri alla Luiss di Roma, «il radicale cambio di scenario degli anni Novanta – nella tecnologia, nel commercio mondiale, nella politica internazionale, e nel regime monetario dell’Europa con la creazione di una moneta unica – ci hanno trovato con una struttura della politica e dell’economia del tutto inadeguata». Le nostre istituzioni- per Macchiati- non hanno insomma saputo reagire adeguatamente e questo spiega l’arresto dello sviluppo e poi la crisi che ha colpito in maniera molto più profonda l’Italia rispetto ad altri paesi a noi vicini.