Corporate governance: Londra pensa a più controlli sui bonus
Per «riformare il capitalismo», l’ambizioso obiettivo che il premier britannico Theresa May si è data al congresso dei conservatori nell’ottobre scorso, Londra cominicia dalla corporate governance di imprese quotate e non. Ieri è stato presentato ai Comuni un Green Paper – linee generali di un disegno di legge - che tocca la logica delle remunerazioni e della ratio che regola salari minimi e massimi delle società. Il governo ha dichiarato di voler mettere fine «al comportamento di imprese private che agendo senza alcuno scrupolo, abbandonano dipendenti, clienti e iscritti ai fondi aziendali...è necessario che il mondo del business sia responsabile perchè non c’è conflittualità fra una buona corporate governance e profitti».
È una traduzione di quel concetto espresso da Theresa May ripetutamente e che aspirava a mettere fine alle azioni «di pochi fortunati» che danneggiano tanti. Nelle scorse settimane la signora premier era arrivata a immaginare l’inserimento di dipendenti nei board delle società con una supervisione diretta su remunerazioni che in Gran Bretagna raggiungono anche il rapporto di 1 a 170 nella ratio fra il salario più basso e quello più elevato. Una proposta molto si- mile a quella avanzata dal leader laburista Ed Milliband negli anni scorsi e che era stata duramente attaccata dal Tory party. L’allineamento di Theresa May alla dottrina Labour – per usare un’iperbole - aveva sollevato i timori della Cbi, la Confederazione delle imprese britanniche che vedeva il ritorno in Gran Bretagna di logiche dirigiste pre-thatcheriane. Uno shock per un Paese che sulla de- regulation ha costruito la sua fama. D’altra parte i casi specifici dei grandi magazzini Bhs e di Sports Direct finiti in parlamento per la libertina gestione amministrativa e per le paghe inferiori ai minimi sindacali meritavano una risposta.
Theresa May ha un compito difficile in quanto non intende irritare il mondo dei business in questa fase di delicata gestione della Brexit, ma nello stesso tempo vuole rispondere al malcontento dei ceti sociali meno abbienti che hanno votato a favore del divorzio dall’Ue in semplice gesto di protesta per le politiche del governo. La questione salari è pertanto centrale nel Green paper e ieri il governo ha avviato il cantiere della riforma dando la sensazione di poter anche far marcia indietro sui passaggi più controversi. La stessa May, nel corso della conferenza degli industriali aveva fatto capire di non volere, per il momento, inserire lavoratori nei consigli di amministrazione delle imprese, aprendo però all’idea di comitati di controllo su salari e bonus. Cambierà anche la tempistica per un monitoraggio stringente. Oggi le società quotate devono sottoporre al voto le loro regole sulle retribuzioni una volta ogni tre anni. Il governo vuole che lo scrutinio possa essere a cadenza annuale. «Gli executive – ha detto il ministro dell’industria Greg Clark – devono essere retribuiti in base alla performance e gli azionisti devono poter agire».
Nel Green paper che dovrà essere discusso e messo a punto in Parlamento per poi essere trasformato in una compiuta proposta di legge si ipotizzano anche i ratio fra salario medi e pacchetto retributivo del ceo e la definzione di un codice di corporate governance da estendere alle imprese non quotate.
LE LINEE GUIDA Per il momento la premier ha detto di non voler inserire i lavoratori nei consigli di amministrazione ma ha aperto a comitati di controllo