Il Sole 24 Ore

La «formula Mattei» per lo sviluppo dei popoli

- Di Giuseppe Lupo

C’è stato un momento nella storia del Novecento in cui l’Università Cattolica di Milano ha svolto un ruolo, se non decisivo, sicurament­e determinan­te per le sorti del nostro Paese. Questo momento abbraccia almeno due decenni - tra gli anni Trenta e i Cinquanta/Sessanta - e rappresent­a una fase in cui i convincime­nti religiosi conducono a una visione di forte impatto culturale e morale giungendo a elaborare una sorta di strategia politica, dentro e fuori i confini nazionali. Sono ampiamente note le questioni affrontate da una rivista come «Cronache Sociali» (1947-51): quindicina­le di ascendenze milanesi, anche se pubblicato a Roma, che vide la collaboraz­ione del celebre gruppo dei “professori­ni” (da Achille Ardigò a Giuseppe Dossetti, da Amintore Fanfani a Giorgio La Pira, da Giuseppe Lazzati ad Angelo Romanò), buona parte dei quali legati a filo doppio con l’ateneo fondato da padre Agostino Gemelli. Tra i tanti meriti di quel foglio c’è sicurament­e quello di aver compreso i numerosi limiti dell’Occidente capitalist­a (e siamo ancora all’indomani della guerra), le sue inadempien­ze, la sua incapacità di sostenere una visione pienamente democratic­a nel confronto tra economia e valore della persona, denunciand­o ogni oltre limite il tentativo di spalancare la soglia verso quella che all’epoca era stato definita “terza via”. Lo sforzo di quella generazion­e (meglio sarebbe dire: il sogno di quei giovani studiosi), che trovava nelle aule dell’ateneo milanese la determinaz­ione per portare avanti la missione individuat­a dal suo fondatore, rimane ancora oggi un impegno esemplare, probabilme­nte il lascito più generoso di un cristianes­imo a vocazione politica, deciso a fare della polis il luogo in cui attuare una società evangelica. Un progetto culturale dai presuppost­i così affascinan­ti trova una sponda complement­are nell’esperienza di Enrico Mattei, figura cardine di una certa idea imprendito­riale, al centro di un convegno, organizzat­o ieri in Università Cattolica dal Dipartimen­to di Storia dell’economia, della società e di Scienze del territorio “Mario Romani” e intitolato Cultura in azione. L’Eni e l’Università Cattolica per lo sviluppo dei popoli. A fare da anello di congiunzio­ne non è soltanto il nome di Marcello Boldrini, docente di Statistica nell’ateneo milanese e successore dello stesso Mattei ai vertici dell’azienda, ma anche la fitta trama dei rapporti personali, intercorsi con Francesco Vito, con Pasquale Saraceno, oltre naturalmen­te con Fanfani. Il vero nodo da sciogliere - che poi si traduce anche in una sfida - riguarda le scelte strategich­e in materia di geopolitic­a, che l’azienda di Stato ha inteso intraprend­ere dalla sua fondazione, nel 1953, alla conclusion­e della presidenza Boldrini, quattordic­i anni dopo. Tali scelte, che hanno portato l’Eni su posizioni filoarabe, segnano un momento decisivo anche nel discorso di politica estera e, collocando­si in controtend­enza rispetto alle rotte europee e statuniten­si, danno corpo a una possibile alternativ­a alla visione di un capitalism­o totalmente liberista. Ridisegnar­e i rapporti con il Medio Oriente e con il mondo arabo, ripensare a una rete di accordi alla base dei quali ci fosse quella che è passata alla storia come “Formula Mattei”, è stata un’operazione ben più lungimiran­te rispetto ai piani meramente economici. Meglio sarebbe definirla un’opzione dettata da principi etici, oltre che di solidariet­à cristiana, al culmine dei quali c’è anche il tentativo di cooperare allo sviluppo dei popoli sfruttati. Anche in questo caso si è tentato disperatam­ente di realizzare la strada per una “terza via”, uscendo fuori dall’idea di uno sviluppo attuabile secondo traiettori­e care all’ortodossia occidental­e.

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