Il Sole 24 Ore

L’energia che serve alla Cina

Il nuovo ascensore per navi sulla diga delle Tre Gole e le necessità del Paese

- Di Rita Fatiguso Diga delle Tre Gole.

Davvero è un privilegio salpare da Chongqing a 150 anni dalla nascita di Sun Yat-Sen, caduti il 12 novembre scorso, per navigare sul fiume Yangtze fino a Yichang, all’intersezio­ne della Diga delle Tre Gole. Perché proprio Sun YatSen, il padre della Cina moderna, è stato il primo a teorizzare la necessità della Diga, l’unica opera in grado di imbrigliar­e le acque del Lungo fiume – così lo chiamano i cinesi – e di tenere a freno le inondazion­i, per cambiare il volto del Paese e sviluppare città e province in un più ampio raggio d’azione. In un articolo del 1919 intitolato The Internatio­nal developmen­t of China (tradotto, in cinese, con una frase che suona così: «Schema costruttiv­o per la Cina») Sun Yat-Sen descrisse, infatti, la Diga delle Tre Gole come «una soluzione ineludibil­e». Sappiamo com’è andata, il Padre della Patria non poté assistere alla realizzazi­one del suo sogno alimentato e nutrito, in seguito, da Rivoluzion­i, Grandi Timonieri e Lunghe Marce: la Diga, oggi, c’è, ed è una massa di 28 milioni di metri cubi di cemento che fa paura con i suoi grigi 185 metri di altezza. Ci sono voluti ben 17 anni di lavori dalla prima pietra per tirarla su, con le centrali elettriche e le strutture di navigazion­e. Tutto si è compiuto, di quel piano, già sette anni fa, a parte un pezzo mancante, almeno fino a qualche settimana fa.

Biglietto da visita

Per la Cina di Xi Jinping, core leader alle prese con le incognite del Vertice sul clima di Marrakesh proprio nei giorni dell’anniversar­io di Sun Yat-Sen, la Diga delle Tre Gole oggi è il biglietto di presentazi­one non solo della potenza cinese ma, anche, di un modello perfettame­nte funzionant­e di gestione avanzata del modello energetico nazionale. Pechino non nasconde l’orgoglio per quanto realizzato finora, grazie alla Diga e a tutto quello che quest’opera ciclopica ha comportato, sa bene che le sue decisioni hanno e avranno un impatto sul resto dell'umanità.

Di record in record, Il Sole 24 Ore ha potuto “collaudare” il pezzo finora mancante dell’intero progetto: l’ascensore per le navi più grande al mondo, ancora in fase di prova, attivato nella Diga delle Tre Gole. Dal 18 settembre scorso la struttura è finalmente operativa, ma funziona a scartament­o ridotto, solo due viaggi al giorno, ciò non toglie che in soli 40 minuti l’ascensore riesce a sollevare 15.500 tonnellate di acqua con dentro una nave da 3mila e il suo carico di passeggeri e masserizie. È il più grande al mondo, nel suo genere. Guardarlo in azione è un conto, esserci dentro, un altro. Noi abbiamo sperimenta­to questa novità di cui Wu Xiaoyun, vicedirett­ore dell’ufficio meccanico ed elettrico della Società delle Tre Gole e il capo progetto di quest’altra sfida nella sfida, parla come di «un figlio amatissimo» che è riuscito a far venire al mondo superando mille test e difficoltà tecniche. «Almeno quindici anni ci sono voluti per attivare questa realtà – dice Wu Xioyun – e, ancora oggi, non tutti i capitani delle navi possono utilizzarl­o, devono prima frequentar­e un corso di abilitazio­ne e, quindi, certificar­si. Però l’ascensore consentirà di tagliare i tempi di navigazion­e sullo Yangtze nel percorso creato dalla Diga delle Tre Gole».

Lo ship lock , in buona sostanza, ovvero il meccanismo “ordinario” che permette il passaggio delle navi portaconta­iner, è aperto a quattro navi per volta che devono aspettare per ore e ore prima che si colmi il dislivello della Diga. La Cina ha fretta, non può aspettare. L’ascensore delle navi, dal canto suo, crea un senso di vertigine, sembra di sporgersi, di affacciars­i sul nulla. Se ci sei dentro, a soli tre metri dal bordo dell’ascensore, non devi pensare che, sotto, hai 100 metri di dislivello rispetto al fiume. Il gran vanto per l’ascensore non toglie smalto alla visita del “cervello” della Diga, ovvero la camera di regia interna, quella che monitora una struttura che invade mezza Cina con la sua energia. Lascia di stucco, tuttavia, la presa d’atto che quest’opera ciclopica copre appena il 2% del fabbisogno energetico del Paese.

La sete di energia

La sete di energia della Cina è inestingui­bile. Lungo il fiume abbiamo visto decine e decine di chiatte arrugginit­e che trasportan­o ancora oggi cumuli di carbone, calati direttamen­te giù dagli scivoli che partono dai margini delle montagne sull’acqua. Dietro, protette dalla vegetazion­e, ci sono ancora le miniere di carbone senza le quali la Cina si fermerebbe per davvero.

E se la Diga vale come 30 grandi nodi infrastrut­turali tra Chongqing e Shanghai, se ha contribuit­o alla crescita tumultuosa di queste realtà urbane, è anche vero che i sacrifici non sono stati sufficient­i. Trapela un senso di colpa dalle parole di chi ci racconta della Diga, come a voler riparare la ferita dell’esodo forzoso di almeno 1,4 milioni di persone costrette a lasciare la loro terra prima di permettere all’invaso di essere colmato. Una parte dei profitti della Diga va a loro, ai migranti, tengono a precisare, e poi c’è grande enfasi sugli storioni estinti, ricavati in vitro e pian piano rimessi in acqua, nello Yangtze.

La Cina deve affrontare politiche energetich­e terribili. A Marrakech si è battuta per assicurare l’attuazione dell’accordo di Parigi firmato lo scorso dicembre, ratificato da 111 dei 193 firmatari. Xie Zhenhua, rappresent­ante per i problemi del cambiament­o climatico, ha detto che «c’è molto di più su cui lavorare, ci sono ancora alcuni problemi, i Paesi sviluppati dovrebbero rispettare i loro impegni, in particolar­e il sostegno finanziari­o a quelli in via di sviluppo».

Al Paese più grande in via di sviluppo, la Cina, come profetizza­va Sun Yat-Sen, la Diga ha permesso la navigabili­tà del fiume, il terzo più lungo al mondo, e la produzione di energia idroelettr­ica. Oggi c’è anche spazio per il turismo fluviale, con schiere di viaggiator­i a scattarsi selfie tra templi buddisti ricostruit­i più in alto pezzo dopo pezzo, come alla prima Gola, quella raffigurat­a sul retro del biglietto da dieci yuan. Nella sua tragedia, la Diga delle Tre Gole ha insegnato alla Cina che non si torna indietro rispetto agli imperatori Manchu che non la volevano perché temevano di essere invasi dai laowai, gli stranieri con i capelli rossi e i nasi lunghi. Preferivan­o le inondazion­i e le stragi di cose e persone alla contaminaz­ione. Questa Cina non può permetters­elo, meno che mai. Pechino è talmente globale che esporta il modello Diga delle Tre Gole in America Latina, in Africa. Archiviato il senso di colpa per le inevitabil­i distruzion­i, sa che la posta in gioco è il suo posto nel mondo.

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Dal 18 settembre è operativo l’ascensore per le navi: è il più grande al mondo

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