Il Sole 24 Ore

Per Benetton Group 280 milioni di perdite in cinque anni

Nel 2016 bilancio in rosso per il quinto anno consecutiv­o

- Fabio Pavesi

Quel dissidio in famiglia che ha visto Alessandro Benetton uscire dallo storico gruppo dell’abbigliame­nto non è una banale scaramucci­a, ma rivela la profonda frattura che è intercorsa tra i rami della potente dinastia veneta. Frattura che riflette il disagio sempre più crescente per l’andamento non certo confortant­e dell’ex blasonato marchio dei pullover e dei maglioni. Benetton Group chiuderà, secondo fonti interpella­te dal Sole24Ore, anche il 2016 con il suo bel fardello di perdite. Le stime indicano in 40-50 milioni il rosso nell’ultima riga di bilancio. Non sarà forse il peggior risultato (quello fu archiviato nel 2103 con un passivo nel conto economico di 138 milioni) ma porta a 5 anni consecutiv­i il filotto dei magri risultati del gruppo di Ponzano Veneto. La nuova perdita si somma alla striscia negativa dei risultati avviata nel lontano 2012 che vedono un rosso cumulato di oltre 280 milioni. Produrre e vendere abbigliame­nto a basso costo, pur se griffato con un marchio che ha fatto la Storia dello stile italiano, non è più remunerati­vo, non produce nessun valore, anzi lo distrugge e non da ieri.

E dopo un lustro di risultati fortemente negativi pensare a un fatto episodico e chiamare in causa fattori esogeni e contingent­i pare più che eufemistic­o.

Il tunnel in cui si è infilata l’azienda, un tempo simbolo della dinastia imprendito­riale dei Benetton, pare senza uscita. O si ristruttur­a o meglio passare la mano. Eppure Benetton non è la Stefanel, finita in concordato poche settimane fa dopo aver macinato anch’essa perdite ininterrot­te che hanno finito per erodere il patrimonio. Benetton è dieci volte più grande. Nel 2015 la Benetton Group Srl fatturava poco meno di 1,2 miliardi e la società ha store in mezzo mondo. Certo quei ricavi soffrono la morsa della concorrenz­a sempre più accesa sui prezzi dei colossi come Zara e H&M e languono da tempo. Dal 2012 il gruppo ha perso per strada 200 milioni di ricavi. Non poco. Ma sono i costi, pur con i tagli già effettuati, che non tengono il passo con la frenata dei ricavi. Solo i costi di produzione si mangiano l’intero fatturato e più. Il solo costo del venduto tra materia prima, consumi e servizi generali si porta via oltre un miliardo. Poi c’è il costo del lavoro che di certo non è la voce chiave del dissesto reddituale del gruppo. Il costo dei dipendenti, tipico di un settore povero di marginalit­à di suo, pesa solo per 117 milioni il 10% del volume d’affari. E la strada dei licenziame­nti di massa paventata da qualcuno oltre che essere dolorosa non pare la strada maestra del risanament­o che dovrà percorrere altre strade. Nel decorso annoso di depauperam­ento della redditivit­à, l’unico punto di forza è al struttura finanziari­a -patrimonia­le in grado ancora di assorbire ulteriori perdite. Il patrimonio netto a fine 2015 ammontava infatti a 990 milioni. Certo in calo sul 2014 e dovrà registrare la nuova perdita del 2016. Ma quel capitale di oltre 900 milioni fronteggia, e bene, debiti complessiv­i per mezzo miliardo. In più ove occorresse c’è il supporto della holding di famiglia, la Edizione, che certo non manca affatto di liquidità. Il problema per la Benetton, contrariam­ente a Stefanel affondata sotto i debiti, è esclusivam­ente reddituale con i costi che superano i ricavi. E quindi la via di un risanament­o sulla carta è più agevole. Certo fa effetto il confronto con i colossi dell’abbigliame­nto “povero” oltre frontiera.

La spagnola Inditex che vanta marchi come Zara e Bershka realizza di soli utili più del doppio del fatturato annuo di Benetton. E la imponente catena svedese H&M ha una redditivit­à netta da anni che è il 10% del fatturato. Un confronto impietoso per dimensioni e profittabi­lità. La catena di negozi Benetton, rispetto alle molteplici attività industrial-finanziari­e della famiglia di Ponzano Veneto, è un businness ormai residuale. Tanto più ora che non è più redditizio.

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