Il Sole 24 Ore

Accusa al datore, licenziame­nto «senza appello»

- Angelo Zambelli

Accusare il proprio datore di lavoro di aver organizzat­o “corsi fantasma” giustifica il licenziame­nto. E non è rilevante che il dipendente possa o meno provare le accuse. Nel caso sottoposto al giudizio della Corte di cassazione (sentenza 24260/2016), è stato provato che il lavoratore ha pronunciat­o davanti a una platea di circa 200 persone frasi gravemente lesive dell’onore e del decoro dell’ente di appartenen­za (un’associazio­ne di promozione sociale) e, in particolar­e, ha attribuito al datore di lavoro e ai suoi dirigenti comportame­nti illeciti (quali l’organizzaz­ione di «corsi fantasma» e la violazione delle convenzion­i che regolano l’attribuzio­ne dei finanziame­nti) e scorretti (quale l’assunzione nell’ente dei figli dei dirigenti).

Tali frasi, a giudizio della Corte, integrando espression­i diffamator­ie e lesive dell’immagine del datore di lavoro danno luogo a una violazione del dovere prevista dall’articolo 2105 del Codice civile «tale da ledere in modo irrimediab­ile il rapporto di fiducia che lega le parti del rapporto di lavoro», restando invece del tutto irrilevant­e il fatto che l’ente abbia subito o meno un danno patrimonia­le in conseguenz­a del comportame­nto.

Contrariam­ente a quanto lamentato dal dipendente, inoltre, non ha alcuna rilevanza il fatto che il medesimo non sia stato ammesso a provare lo scarso numero degli iscritti ai corsi e il difetto delle competenze e qualità profession­ali necessarie ai formatori, in quanto tali circostanz­e, seppur provate, «non avrebbero potuto togliere rilevanza alla gravità dell’accusa di organizzar­e “corsi fantasma”».

In applicazio­ne a tali principi la Corte ha quindi ritenuto legittimo il licenziame­nto per giusta causa irrogato al dipendente, affermando che «l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore, che non si contenga entro i limiti del rispetto della verità oggettiva e si traduca in una condotta lesiva del decoro dell’impresa, costituisc­e violazione del dovere di cui all’articolo 2105 del Codice civile ed è comportame­nto idoneo a ledere definitiva­mente il rapporto di fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro».

L’obbligo di fedeltà non si esaurisce nei comportame­nti omissivi elencati dalla norma (divieto di concorrenz­a e obbligo di riservatez­za), ma si sostanzia anche «nell’obbligo di un leale comportame­nto del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e deve essere collegato con le regole di correttezz­a e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 Codice civile» (Cassazione 519/2001).

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