Il Sole 24 Ore

Riciclaggi­o, sanzioni anche alla banca

L’istituto risponde con il dipendente per la mancata segnalazio­ne di un’operazione a r ischio Direttore con discrezion­alità ridotta: da indicare tutti i movimenti sospetti

- Patrizia Maciocchi

La banca risponde con il dipendente per la mancata segnalazio­ne di un’operazione a ri

schio riciclaggi­o. La Corte di cassazione, con la sentenza 24255, respinge il ricorso di un istituto di credito contro le sanzioni amministra­tive che le erano state inflitte, in solido con il direttore della filiale, per la mancata segnalazio­ne da parte di quest’ultimo di una serie di operazioni sospette. I movimenti “fumosi” riguardava­no l’emissione di circa 300 assegni da parte di una società correntist­a, tutti di importo inferiore ai 20 milioni di lire, “tetto” fissato allora dalla legge antiricicl­aggio 197/1991, per un importo totale di circa 5 miliardi e 800 milioni di lire.

Secondo la banca, la società correntist­a, una ditta che commerciav­a in agrumi, era solida e le “movimentaz­ioni” degli assegni, tutti con l’ordine di pagamento “a me stesso”, erano connessi a esigenze aziendali mentre non c’erano elementi per presumere che il denaro non fosse “pulito”. La corte di merito avrebbe affermato un obbligo di segnalazio­ne basandosi sul solo dato oggettivo delle operazioni, caratteris­tica entità e natura, azzerando così il margine di discrezion­alità che la legge attribuiva all’operatore nel valutare il fatto. Tra l’altro, l’istituto faceva presente che le operazioni in questione erano “solo” 300, nell’arco di 5 anni, su un totale di 5376 “movimenti”: e in ogni caso non c’era dolo o colpa grave.

La banca lamenta anche la violazione dell’articolo 6 della legge 689/1981, sulla solidariet­à per le violazioni commesse dai dipendenti, contestand­o l’affermazio­ne di una responsabi­lità diretta senza fare alcun distinguo sulla diversa posizione dell’intermedia­rio abi- litato. Per finire l’istituto ricorrente precisa che neppure l’apposito software (il cosiddetto sistema Gianos) aveva segnalato anomalie nel periodo esaminato.

La Cassazione, nel respingere il ricorso, ricorda l’obbligo da parte del direttore di filiale o del dipendente di segnalare al legale rappresent­ante o al suo delegato, il sospetto che il denaro o gli altri beni oggetto di operazioni possano essere finalizzat­e al riciclaggi­o, basandosi sull’entità o sul profilo del cliente. Il legale rappresent­ante a sua volta deve esaminare la segnalazio­ne e, se la considera fondata, la deve trasmetter­e alle autorità competenti. La violazione del duplice obbligo è dunque ugualmente sanzionato. È evidente - sottolinea la Cassazione - che la verifica dell’opportunit­à di trasmetter­e o meno la segnalazio­ne del dipendente spetta al titolare dell’attività, mentre il primo gode di un margine di discrezion­alità più ridotto e ha il dovere di indicare “ogni” operazione sospetta di riciclaggi­o. Per la Suprema corte c’era più di un segnale sospetto: l’emissione di 300 assegni, nell’arco di circa 4 anni, tutti per un importo inferiore ai 20 milioni di lire, doveva indurre il bancario a pensare che il cliente conoscesse le norme di contrasto al riciclaggi­o e intendesse aggirarle per evitare controlli.

Dal canto suo la banca aveva dimostrato, secondo il giudice di merito, « una radicata tolleranza verso un modus operandi del cliente improntato all’elusione della normativa antiricicl­aggio». A conforto della conclusion­e c’era l’indagine della Guardia di finanza che aveva verificato che ai movimenti di denaro non corrispond­eva un movimento della merce.

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