Riciclaggio, sanzioni anche alla banca
L’istituto risponde con il dipendente per la mancata segnalazione di un’operazione a r ischio Direttore con discrezionalità ridotta: da indicare tutti i movimenti sospetti
La banca risponde con il dipendente per la mancata segnalazione di un’operazione a ri
schio riciclaggio. La Corte di cassazione, con la sentenza 24255, respinge il ricorso di un istituto di credito contro le sanzioni amministrative che le erano state inflitte, in solido con il direttore della filiale, per la mancata segnalazione da parte di quest’ultimo di una serie di operazioni sospette. I movimenti “fumosi” riguardavano l’emissione di circa 300 assegni da parte di una società correntista, tutti di importo inferiore ai 20 milioni di lire, “tetto” fissato allora dalla legge antiriciclaggio 197/1991, per un importo totale di circa 5 miliardi e 800 milioni di lire.
Secondo la banca, la società correntista, una ditta che commerciava in agrumi, era solida e le “movimentazioni” degli assegni, tutti con l’ordine di pagamento “a me stesso”, erano connessi a esigenze aziendali mentre non c’erano elementi per presumere che il denaro non fosse “pulito”. La corte di merito avrebbe affermato un obbligo di segnalazione basandosi sul solo dato oggettivo delle operazioni, caratteristica entità e natura, azzerando così il margine di discrezionalità che la legge attribuiva all’operatore nel valutare il fatto. Tra l’altro, l’istituto faceva presente che le operazioni in questione erano “solo” 300, nell’arco di 5 anni, su un totale di 5376 “movimenti”: e in ogni caso non c’era dolo o colpa grave.
La banca lamenta anche la violazione dell’articolo 6 della legge 689/1981, sulla solidarietà per le violazioni commesse dai dipendenti, contestando l’affermazione di una responsabilità diretta senza fare alcun distinguo sulla diversa posizione dell’intermediario abi- litato. Per finire l’istituto ricorrente precisa che neppure l’apposito software (il cosiddetto sistema Gianos) aveva segnalato anomalie nel periodo esaminato.
La Cassazione, nel respingere il ricorso, ricorda l’obbligo da parte del direttore di filiale o del dipendente di segnalare al legale rappresentante o al suo delegato, il sospetto che il denaro o gli altri beni oggetto di operazioni possano essere finalizzate al riciclaggio, basandosi sull’entità o sul profilo del cliente. Il legale rappresentante a sua volta deve esaminare la segnalazione e, se la considera fondata, la deve trasmettere alle autorità competenti. La violazione del duplice obbligo è dunque ugualmente sanzionato. È evidente - sottolinea la Cassazione - che la verifica dell’opportunità di trasmettere o meno la segnalazione del dipendente spetta al titolare dell’attività, mentre il primo gode di un margine di discrezionalità più ridotto e ha il dovere di indicare “ogni” operazione sospetta di riciclaggio. Per la Suprema corte c’era più di un segnale sospetto: l’emissione di 300 assegni, nell’arco di circa 4 anni, tutti per un importo inferiore ai 20 milioni di lire, doveva indurre il bancario a pensare che il cliente conoscesse le norme di contrasto al riciclaggio e intendesse aggirarle per evitare controlli.
Dal canto suo la banca aveva dimostrato, secondo il giudice di merito, « una radicata tolleranza verso un modus operandi del cliente improntato all’elusione della normativa antiriciclaggio». A conforto della conclusione c’era l’indagine della Guardia di finanza che aveva verificato che ai movimenti di denaro non corrispondeva un movimento della merce.