Il Sole 24 Ore

Il «nodo banche» e l’agenda politica

- Gianni Trovati

Nell’agenda della politica «per il primo giorno dopo il referendum» il tema banche occupa il secondo posto, appena dopo l’immigrazio­ne.

A indicare la classifica è intervenut­o ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che al terzo posto fissa «il rapporto con la Ue». Ma è evidente che sia immigrazio­ne sia banche sono esattament­e i punti al centro del confronto con Bruxelles. Ma che cosa significa, in concreto, occuparsi del tema banche dal punto di vista del governo?

Le prime indicazion­i arrivano dal pacchetto bancario che ha tentato di entrare alla Camera della manovra ma è inciampato nelle trattative politiche in commission­e e potrebbe tornare al Senato oppure sotto forma di decreto a sé. Inutile dire che anche sulla formula inciderà il risultato del referendum e soprattutt­o le sue conseguenz­e sugli assetti politici. In ogni caso al centro del cantiere legislativ­o rimangono le good banks e le popolari, ma solo per l’ipotesi di alzare la soglia di attivo per la trasformaz­ione di Spa, mentre il Monte rimane ai margini.

Nel merito, infatti, la regola più attesa dal mondo bancario è quella che chiede nuove risorse al fondo di risoluzion­e, ma permette di rateizzarl­e in cinque anni. L’ulteriore dote di liquidità al fondo è resa necessaria dal complicato processo di vendita delle quattro «good banks» nate dalla risoluzion­e di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrar­a, che è an- cora al centro di difficili trattative e non riuscirà a recuperare gli 1,6 miliardi di prestito ponte versato da Intesa, UniCredit e Ubi. Chiedere tutto subito, però, imporrebbe di presentare un conto troppo salato alle banche finanziatr­ici, che sono peraltro in attesa dell’avvio dei motori del fondo europeo all’interno di un’Unione bancaria che viaggia a corrente alternata.

Sempre sulla fase di transizion­e delle good bank potrebbe arrivare qualche ritocco normativo per rafforzare il quadro attuale in tema di vigilanza, con l’obiettivo di facilitare la fase di vendita. In cantiere c’è poi un intervento sulle Dta (Deferred Tax Asset), per permettere di compensa- re i pagamenti effettuati a luglio a valere sul 2015 utilizzand­oli come acconto per il 2016. La terza misura, che ha acceso la temperatur­a del dibattito politico fino a far cadere l’intero pacchetto, prova ad alzare da 8 a 30 miliardi la soglia dell'attivo sopra la quale le popolari devono trasformar­si in Spa (un’ipotesi che riguardere­bbe soprattutt­o la Popolare di Bari).

Nell’agenda delle misure sul tavolo del governo si nota l’assenza di Mps, su cui Renzi rilancia «gli errori della politica» sulla storia del Monte, che il premier dice di «voler raccontare facendo nomi e cognomi». Ma non potrebbe essere altrimenti. La sorte di Rocca Salimbeni si gioca interament­e sul piano di cessione degli Npl, aumento di capitale e piano industrial­e: a confermarl­o sono le indicazion­i arrivate dal ministero dell’Economia sul fatto che per gli obbligazio­nisti interessat­i dall’offerta di conversion­e non ci sono alle viste “piani B” in grado di offrire occasioni più favorevoli. Per capirlo basta ripercorre­re il film della trattativa estiva con Bruxelles e Francofort­e per ipotizzare possibili sospension­i o deroghe al bail in. Il confronto, peraltro incompiuto, si è concentrat­o soprattutt­o sulla possibilit­à di fermare i costi a carico degli investitor­i retail, che peraltro nella conversion­e devono fare i conti con il loro profilo di rischio Mifid, ma non è riuscito nemmeno a mettere in discussion­e quelli per i fondi istituzion­ali. Una prospettiv­a che si ripeterebb­e analoga in caso di scenario avverso che imponesse l’intervento dello Stato o del fondo Esm nel salvataggi­o di Siena.

IL PUNTO La regola più attesa dal mondo bancario è quella che chiede nuove risorse al fondo di risoluzion­e ma permette di rateizzarl­e in 5 anni

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