Il Sole 24 Ore

Il petrolio vola a 54 dollari Milano oltre 17mila punti

Continua la corsa dei prezzi del greggio dopo l’intesa Opec sui tagli di produzione Piazza Affari (+0,99%) unica Borsa positiva con energia e banche

- Bellomo e Lops

pDopo l’accordo di mercoledì sui tagli alla produzione, il prezzo del petrolio continua al sua corsa. Il Brent ha chiuso a 54,1 dollari (+3,6%) ai massimi da oltre un anno. Ne ha beneficiat­o Piazza Affari, unico listino positivo (+0,99%) grazie agli energetici e alle banche.

pNon è stato soltanto l’effetto sorpresa. Il petrolio, dopo gli eccezional­i rialzi nel giorno del vertice Opec, ha continuato ad apprezzars­i anche ieri, spingendos­i oltre 54 dollari nel caso del Brent, un livello che non aveva più raggiunto da luglio dell’anno scorso.

L’annuncio di un forte taglio di produzione si è scontrato con il diffuso scetticism­o del mercato, costringen­do molti fondi di investimen­to a ricoprire le posizioni “corte” - in pratica le scommesse ribassiste - che avevano accumulato. L’affannoso riacquisto di contratti è stato determinan­te per mettere le ali al petrolio, con rialzi oltre il 10% in alcune fasi della seduta di mercoledì, e volumi di scambio da lasciare a bocca aperta: sono passati di mano, ha fatto sapere l’Ice, 1,96 milioni di contratti sul Brent, un record assoluto che equivale a 1,96 miliardi di barili “di carta”, oltre venti volte i consumi giornalier­i nel mondo.

Ieri ci si sarebbe potuti aspettare una correzione. Invece il Brent si è apprezzato ancora, di oltre il 4%, per chiudere a 53,94 $/barile. Gli investitor­i, confortati dai commenti a caldo di molti i analisti, sembrano davvero convinti che l’Opec - che ha promesso di togliere dal mercato 1,2 milioni di barili al giorno, anzi 1,8 milioni col contributo di Russia e altri produttori esterni - abbia cambiato le sorti del mercato petrolifer­o. L’offerta si stava già riallinean­do alla domanda, grazie al crollo degli investimen­ti. Ora si può sperare in uno smaltiment­o più rapido delle enormi scorte accumulate negli ultimi due anni.

Ma non è detto che tutto fili se- condo i piani dell’Opec. Le fonti di incertezza sono almeno cinque: la prima è la partecipaz­ione dei paesi non Opec (alla quale peraltro sono vincolati i tagli dell’Organizzaz­ione); la seconda riguarda l’effettiva entità dei tagli (poiché è certo che almeno qualche paese “barerà”); la terza è l’eventualit­à che Libia e Nigeria, esentate dai tagli, riescano a risollevar­e l’ouput.

Tra i fattori esogeni - che l’Opec non controlla, ma che possono essere condiziona­ti dalla risalita del greggio - ci sono un possibile rallentame­nto della domanda, che farebbe sballare tutta l’equazione, e la reazione dei produttori di shale oil, tutt’altro che scontata, anche perché mancano precedenti storici in base ai quali prevedere quanto petrolio - e in quali tempi - riporteran­no sul mercato.

Sul primo punto, i non Opec, per ora solo la Russia ha promesso un contributo. L’Azerbaijan, altro possibile candidato, ha già una produzione in declino. Il Kazakhstan

Usd/bari le

A l ge ri 28/09 ha appena avviato il maxigiacim­ento di Kashagan, Messico e Brasile stanno cercando di attirare investitor­i stranieri nel paese, l’Oman ha conquistat­o da poco il sospirato traguardo di un milione di barili al giorno. Altri grandi produttori - dagli Usa al Canada, dalla Norvegia alla Cina - sono fuori discussion­e, anzi c’è il rischio che ora accelerino le estrazioni.

Mosca taglierà 300mila bg: una svolta dopo aver insistito a lungo di voler solo «congelare». Tuttavia, ha chiarito ieri, lo farà dalla produzione di ottobre, ossia dal record post-sovietico di 11,2 mbg (raggiunto con un aumento di 520mila bg negli ultimi due mesi). Per di più ridurrà «in modo graduale» e solo se i paesi Opec lo faranno davvero. I tagli, ha spiegato il ministro Alexander Novak, saranno distribuit­i pro quota tra le compagnie russe: un’impresa che Chris Weafer, partner di Macro Advisory, ha paragonato­a«radunareun­gruppo di gatti come se fossero un gregge».

Lo sforamento dei tetti produttivi da parte dei paesi Opec è un problema meno grave: accadrà - probabilme­nte anche da parte di un peso massimo come l’Iraq, che ha accettato obtorto collo un taglio di 210mila bg - ma l’Opec ne è consapevol­e e ha preso qualche precauzion­e. Il peso più grande lo sopportera­nno produttori “disciplina­ti”, ossia Arabia Saudita,Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar, che insieme taglierann­o 765mila bg. Inoltre le scorte dovrebbero calare anche senza l’intero taglio da 1,8 mbg annunciato: la produzione globale di petrolio ha smesso di crescere e la domanda, se non tradirà le previsioni, nel 2017 aumenterà come quest’anno di 1,2-1,3 mbg.

Resta l’incognita shale oil. Harold Hamm, pioniere del frackig con la sua Continenta­l e oggi consiglier­e di Trump, sostiene con la solita spavalderi­a che gli Usa possano più che raddoppiar­e l’output. Nei fatti l’industria potrebbe faticare a ripartire, dopo due anni segnati da ingenti riduzioni dei budget, centinaia di casi di bancarotta e oltre 350mila licenziame­nti. I costi estrattivi sono scesi, ma hanno già ripreso a salire da quando i frackers si sono rimessi in moto, riattivand­o 158 trivelle da maggio.

Certo l’Opec ha già regalato decine di miliardi di dollari in capitalizz­azione alle società dello shale, che in borsa hanno registrato rialzi a doppia cifra percentual­e dopo il vertice. E persino nel petrolio convenzion­ale (sarà un caso?) c’è già un segnale di ritorno agli investimen­ti: ieri Bp ha dato via libera a Mad Dog 2, progetto da 9 miliardi di $ nel Golfo del Messico.essic

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