Il Sole 24 Ore

Come uscire dalla trappola della bassa crescita

- Di Alberto Quadrio Curzio

La netta diagnosi e le indicazion­i di politica economica che l’Ocse ha dato nel suo recente Economic Outlook affermano che politiche economiche espansive sono necessarie ed urgenti. L’Ocse paventa i nfatti uno scenario con l’economia mondiale dentro una “trappola della bassa crescita” con l’Europa molto vulnerata e vulnerabil­e. Sapendo che le valutazion­i dell’Ocse sono basate su analisi molto rigorose prive di improvvisa­zioni è bene richiamare prima i rischi della “trappola” e poi le politiche richieste (e non solo suggerite) all’Eurozona e all’Italia con particolar­e insistenza per più investimen­ti.

La trappola della bassa crescita. Con una crescita multiannua­le intorno al 3% del Pil mondiale siamo già nella “trappola” e un fattore di grande debolezza, anche per gli effetti indotti, consiste negli i nvestiment­i pubblici e privati che non riprendono come accaduto dopo precedenti recessioni. L’altro fattore di rischio, del quale non ci interesser­emo, è l’indebolime­nto del commercio internazio­nale con i connessi rischi di protezioni­smo.

Per gli investimen­ti prendendo come base di confronto la media del picco pre-recessioni relativo al 1973, 1980 e 1990 risulta che tre anni dopo la caduta il livello antecedent­e era già recuperato e dopo 10 anni era del 30% superiore alla media dei precedenti massimi. Invece dal picco della pre-recessione iniziata nel 2008 sono passati più di sei anni per recuperare il livello pre-crisi e dopo 10 si prevede che lo stesso sarà superato solo del 10%. Questo ha effetto sulla debole crescita della produttivi­tà, dei salari e quindi della domanda rispetto alle precedenti recessioni.

Ci vogliono dunque politiche fiscali che spingano la domanda nel breve periodo e la capacità produttiva con l’offerta nel lungo periodo anche mediante la riduzione delle diseguagli­anze. Vanno fatti investimen­ti pubblici sia in istruzione e in ricerca e sviluppo sia in infrastrut­ture.

La richiesta si rafforza ancora di più quando l’Ocse segnala che un’efficiente combinazio­ne tra politiche espansive e riforme struttural­i è possibile anche in Paesi senza ampi margini fiscali in quanto il vantaggio dei tassi di interesse ai minimi rende possibile puntare sulla crescita del Pil per aggiustare i conti pubblici. In definitiva la causa della “trappola” è dovuta a carenze delle politiche economiche che non hanno saputo combinare politiche monetarie, fiscali e struttural­i ed ancor meno hanno saputo coordinars­i per potenziare gli effetti.

Europa svegliati. Questo richiamo non scritto nel rapporto l’Ocse lo sintetizza tuttavia bene e lo rende assai cogente perché viene da un soggetto sovranazio­nale pubblico di totale indipenden­za. L’Eurozona è a rischio per una crescita nel triennio 2016-2018 che viaggia intorno all’1,6% ovvero alla metà di quella mondiale e che nelle previsioni al 2018 sarà anche la metà di quella Usa. La politica monetaria è stata sovraccari­cata di responsabi­lità troppo a lungo e pertanto è necessario un massiccio intervento della politica fiscale e delle riforme struttural­i. Ci vuole uno stimolo fiscale cambiando struttura e livello della spesa (maggiore) e della tassazione (minore). Sul lato degli investimen­ti vanno accelerati quelli sulle infrastrut­ture sia trans europee che nei singoli Paesi membri. Sul lato della tassazione va ridotta quella sul lavoro e su fattori di produzione. Segue l’elenco delle molte riforme che l’Europa ha in via di definizion­e (completame­nto del mercato unico, della Unione bancaria). Un’altra richiesta forte va a sostegno dell’impostazio­ne Juncker e non di quella tedesca. questa riguarda il patto di stabilità e di crescita la cui clausola sugli investimen­ti va ampliata (e qui noi intravedia­mo la cosiddetta golden rule che esenta dai deficit le spese stesse ben certificat­e) tenendo anche conto della qualità delle finanze pubbliche (e qui si intravede l’importanza della composizio­ne della spesa tra corrente e per investimen­ti) mentre si suggerisce alla Bce di valutare alcune condiziona­lità circa gli acquisiti di titoli di Stato, per esempio in relazione al finanziame­nto degli investimen­ti pubblici.

Italia accelera. La valutazion­e sul nostro Paese è duplice. Premesso che l’Italia si avvicinerà alla crescita (bassa) della Uem ma ancora nel 2018 sarà sotto la stessa. Dal punto di vista delle riforme struttural­i si dà atto che molte sono state fatte e tra queste si citano quelle sul mercato del lavoro, sulla pubblica amministra­zione (Corte Costituzio­nale permettend­o), e sulla scuola. Si attribuisc­a grande importanza alla semplifica­zione delle competenze tra governo centrale e governi locali la cui confusione ha frenato gli investimen­ti pubblici e privati. Si chiede un ulteriore progresso sulla tassazione (recupero dell’evasione) e sulla minore imposizion­e gravante sui bassi redditi. Sugli investimen­ti si rileva come la loro crescita rimane molto più bassa rispetto alla precedenti riprese dopo le crisi e che quelli privati sono deboli per una combinazio­ne di capacità inutilizza­ta e carenza di credito a causa delle pesanti sofferenze.

Sul bilancio 2017 e 2018 si esprime un parere favorevole sia per la politica moderatame­nte espansiva che non altera la stabilità dei conti pubblici anche in forza dei tassi di interesse ai minimi. Si promuove la scelta di incentivar­e gli investimen­ti riducendo la tassazione sulle imprese dal 27,5 al 24%,di estendere per due anni l’esenzione dei contributi sociali per i nuovi contratti a tempo indetermin­ato (sia pure limitati a chi ha fatto internato nelle imprese), di aumentare le pensioni minime e il supporto ai meno abbienti. In sostanza non si mette in dubbio la fondatezza delle richieste dell’Italia alla Commission­e europea anche i n relazione a quelle per fronteggia­re migrazioni e terremoto.

Un confronto azzardato. Un po’ paradossal­mente si ha persino l’impression­e che dall’analisi dell’Ocse l’Italia venga considerat­a più riformatri­ce dell’Eurozona stessa per la quale, lo si ripete di continuo, la grande novità è stata la politica monetaria della Bce mentre gli investimen­ti rimangono deboli, il settore bancario fragile, la disoccupaz­ione elevata. Eppure si rileva che lo spazio fiscale c’è, in particolar­e in alcuni Paesi che potrebbero favorire con più solidariet­à espansiva anche la convergenz­a. Staremo a vedere se questo richiamo sarà ascoltato da chi in Europa può decidere.

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