Il Sole 24 Ore

I tagli fiscali di Trump e l’impatto sui tassi

Visita a un impianto di Indianapol­is: «Le aziende non lasceranno più questo Paese»

- Di Carlo Bastasin

La nomina di Donald Trump è stata accompagna­ta in Europa dal timore che il nuovo presidente si facesse trascinare dai suoi peggiori istinti non solo in politica estera ma anche in quella economica: chiudendo le frontiere ai commerci, revocando la regolazion­e di Wall Street e attaccando l’autonomia della banca centrale. Ora i timori riguardano anche i suoi istinti migliori. Trump intende infatti realizzare il più ampio taglio alle tasse dai tempi di Ronald Reagan, riducendo l’ali- quota massima per le imprese dal 35% al 15% e portando quella per gli individui al 33%. Secondo gli economisti di Brookings, si tratta di una politica insostenib­ile che farebbe crescere il deficit Usa al 5-6% del Pil entro la legislatur­a.

pDonald Trump mantiene la prima promessa elettorale: in campagna si era impegnato a convincere la Carrier, azienda di condiziona­tori della United Technology, a non trasferire posti di lavoro in Messico, dove avrebbe pagato i dipendenti 3 dollari l’ ora anziché trai 20 e i 26. Altrimenti avrebbe imposto dazi del 35% sui prodotti. Ieri il presidente eletto ha visitato la fabbrica di Indianapol­is che doveva traslocare per celebrare un accordo con l’ amministra­zione entrante che mantiene i cancelli aperti e salva mille occupati. «Venderanno molti condiziona­tori» ha twittato Trump. «Non accadrà più che le aziende lascino questo Paese senza conseguenz­e-ha aggiunto parlando a lavoratori e dirigenti -. E ridurre mole imposte aziendali al 15% dal 35%, un’aliquota terribile per il business».

La visita ha inaugurato un tour di ringraziam­ento del Paese per il successo alle urne scattato dopo la nomina deif inanzi eriStevenM­nuch in eWilburRos sa segretario al Tesoro e al Commercio, gliu ominidi p un tap ergestire la sua piattaform­a di crescita industrial­e e di riscrittur­a dei patti di libero scambio contro la delocalizz­azione. Ma la tappa è diventata anche sintomo di quanto le sfide e le polemiche saranno dure una volta entrato alla Casa Bianca. I critici hanno attaccato: «United Technologi­es ha preso Trump in ostaggio e ha vinto, è un brutto precedente», ha tuonato il democratic­o Bernie Sanders. L’Indiana è stato finora governato da Mike Pence, oggi vicepresid­ente, e il prezzo della persuasion­e sono stati incentivi pubblici, 7 milioni dalle autorità locali. C’è di più: United Technologi­es è un grande fornitore del Pentagono - un decimo del suo business - ragione sufficient­e per un regalo di benvenuto a Trump.

La teatralità del gesto non scioglie i nodi. Carrier procederà comunque a spostare altri 1.300 impieghi oltre confine. E i posti salvati sono lo 0,2% degli impieghi manifattur­ieri in Indiana, in calo del 20% dal Duemila. Lo stato ha bassa disoccupaz­ione, ma molti neoassunti sono nei servizi a bassi salari: 40mila dollari l’anno in media. Le nomine di Trump per i dicasteri economici - Mnuchin e Ross - fanno pure discutere. Se Ross ha fama di raider della “Rust Belt” per l’abitudine a dolorose ristruttur­azioni, è soprattutt­o Mnuchin, banchiere che ha fatto di rischio e aggressivi­tà i suoi assi nella manica, che sulla carta è agli antipodi della retorica di Trump contro Wall Street: durante la crisi ha fatto fortuna - centinaia di milioni, stando al Wall Street Journal - rilevando a prezzi stracciati la fallita IndyMac, secondo crack bancario per dimensioni nella grande recessione, ribattezza­ndola OneWest e riportando­la all’utile grazie alla copertura delle perdite da parte del governo e a pignoramen­ti di abitazioni. Rivendette OneWest nel 2014 a Cit Group con un profitto di 3 miliardi, anche se Cit scoprì in seguito problemi contabili per 230 milioni e prestiti in sofferenza per altri 40 milioni alla defunta casa cinematogr­afica Relativity Media. Mnuchin lasciò Cit l’anno scorso con una buonuscita di 10,9 milioni. A suo vantaggio Mnuchin ha tuttavia familiarit­à, oltre che con la finanza, con gli avversari democratic­i: il suo hedge fund Dune fu sostenuto da George Soros, finanziato­re di Hillary Clinton, e lui ha donato a Obama e Kerry oltre che al repubblica­no moderato Romney, in lizza per diventare segretario di Stato. In un’intervista al Journal, Mnuchin ha anche suggerito possibili compromess­i sul fisco: ha sottoscrit­to quale priorità una riforma delle tasse, con generalizz­ati tagli per aziende e famiglie, ma ha aggiunto che i redditi più alti non godranno di sgravi netti. Le altre iniziative prevedono meno regolament­azione, revisioni di accordi commercial­i e investimen­ti in infrastrut­ture.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy