Con i Piani di risparmio più fiducia e mercato
«No one will be left behind»: nessuno sarà lasciato indietro. Quando si è in guerra, e la crisi dell’economia e della finanza italiana va affrontata come tale, la certezza di non essere «lasciati indietro» dà forza e coraggio a chi combatte in prima linea. Il problema è che in Italia, dove la crisi economica e finanziaria ha generato due recessioni e ben quattro governi in 4 anni, è stata proprio l’assenza di questa certezza a fiaccare morale e aspettative di imprenditori e mercati: ormai dal 2011, il rischio di una Caporetto finanziaria spaventa non solo le imprese, ma mette in fuga anche gli investitori. Ribaltare le aspettative non è facile, soprattutto se le notizie positive per l’economia e il risparmio - già merce rara di questi tempi - vengono travolte dal caos della campagna referendaria e dalla conflittualità permanente della scena politica italiana. Un caso emblematico è quello dei Pir, i Piani di investimento del risparmio il cui debutto - salvo imboscate parlamentari - è fissato al primo gennaio 2017.
L’obiettivo dei Pir e del pacchetto di musure che li accompagnano è infatti quello di incentivare le piccole e medie imprese a raccogliere più capitali in Borsa invece che in banca, ma soprattutto a spingere le famiglie italiane a destinare una quota maggiore dei loro risparmi su investimenti di lungo termine e fiscalmente agevolati perchè focalizzati sulle aziende nazionali di minori dimensioni. In questo senso, non c’è dubbio che i Pir, così come le agevolazioni previste per fondi pensione ed enti previdenziali, siano la prima iniziativa seria e concreta diretta all'incremento di investitori domestici in strumenti finanziari emessi da società italiane. Ed è anche la prima volta che un governo italiano riconosce l'importanza degli incentivi fiscali diretti agli investitori per sviluppare il mercato dei capitali: con le nuove regole europee sul credito già in vigore o in arrivo, del resto, il ruolo delle sembra condannato a una pericolosa disintermediazione progressiva. Il successo dei Pir, insomma, consentirebbe non solo di creare un’alternativa alle banche, ma anche di rafforzare il ruolo del risparmio gestito domestico, e di educare i risparmiatori a diversificare gli investimenti in un’ottica di medio termine, come avviene dove all’estero.
Ma proprio perché con i Pir è in gioco fiducia e sicurezza del risparmio, gli strumenti da agevolare fiscalmente vanno scelti con grande attenzione. Già durante il primo iter parlamentare, si è tentato di stravolgere il merito dei Pir con un emendamento che avrebbe imposto ai gestori di investire una quota dei Piani su un listino a scarsa liquidità. Al contrario, i Pir prevedono ora infatti un 30% di investimento libero (anche BTp o titoli di qualunque paese del mondo), un 49% investito in aziende italiane (o Ue con stabile organizzazione) di qualunque dimensione, e infine un 21% investito in titoli di aziende italiane non incluse nel Ftse Mib, in modo da assicurare che una porzione, pur se minoritaria, dell'investimento, vada solo sulle migliori small caps.
Per evitare nuovi blitz, bene farà il Governo a porre la fiducia nel voto finale sulle norme, come ha fatto con tutti i provvedimenti fiscali: modifiche come quelle chieste nell’emendamento sarebbero daltronde bocciate dalla Commissione europea, con cui è stato raggiunto un delicatissimo compromesso. La scommessa dei Pir, insomma, è una scommessa di sistema e come tale va preservata. Il mercato, le imprese, le famiglie in generale l’economia italiana, hanno già pagato un prezzo altissimo per la rinuncia politica a una Piazza Finanziaria nazionale. Così, mentre tra Londra, Parigi o Wall Street migliaia le piccole e medie imprese hanno superato la crisi con i capitali del mercato, in Italia sono appena 213 le società quotate, di cui solo 78 quotate su Aim Italia. I Pir saranno d’aiuto per recuperare terreno e liquidità, ma per sciogliere tutti i nodi serve soprattutto responsabilità politica.