Londra pronta a pagare per restare nel mercato Ue
Il ministro Davis ammette: per il miglior accesso di beni e servizi potrebbero essere versate quote importanti L’ipotesi entusiasma i mercati, la sterlina vola ai massimi degli ultimi tre mesi
Sotto la retorica, niente. Si dissolvono le infuocate parole d’ordine della campagna referendaria e, a meno di sei mesi dal no alla Ue, Londra si dice pronta a staccare un assegno per avere accesso privilegiato al mercato interno. È una mossa da Realpolitik dopo mesi di demagogia, nella consapevolezza che la partecipazione al single market re- sta vitale per il destino economico britannico. Lo impone la logica prima ancora dei bilanci di imprese e banche. Una logica che sembra aver finalmente illuminato David Davis, ministro per la Brexit, primus inter pares fra i tre moschettieri del fronte Leave che Theresa May ha collocato nei ministeri-chiave del Paese.
L’idea che Londra sia “open for business” con l’Europa piace così tanto ai mercati da spingere la sterlina ai massimi degli ultimi tre mesi contro l’euro e oltre la soglia di 1,26 sul dollaro. A innescare il brivido sul forex e la risalita della divisa britannica è stata la gimkana retorica che David Davis, ministro per la Brexit, ha messo in piedi a Westminster smentendo – in sostanza – se stesso e la vulgata dei brexiters.
Ha riconosciuto, cioè, che Londra potrebbe dover pagare all’Europa quote importanti, negli anni a venire, per continuare a partecipare al mercato interno. Rispondendo alle interrogazioni parlamentari dell’opposizione laburista , il ministro ha ribadito che il Governo «vuole il miglior accesso possibile a beni e servizi (britannici, ndr) nell’Unione europea». Concetto che impone «di considerare» pagamenti al bilancio dell’Ue. Crolla, dunque, il mantra del fronte Leave che nel corso della campagna referendaria aveva insistito sul “rimpatrio” dei miliardi che Londra – come tutti i Paesi contribuenti netti all’Unione - versano a Bruxelles. Non sarà così. E a confermarlo ci ha pensato anche il Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond, colomba nel governo May, rapido nel cogliere l’importanza del passaggio espresso dal ministro per la Brexit . «Dobbiamo tenere la porta aperta a qualsia- si soluzione – ha detto – per questo David Davis ha fatto bene a non escludere contributi (al bilancio Ue, ndr) ».
I commenti di David Davis, doppiati da quelli di Philip Hammond, irriteranno gli euroscettici – nelle cui file lo stesso Davis iscrive se stesso – perchè smontano il teorema su cui è stato vinto il referendum del 23 giugno. Quel pensiero debo- le secondo cui Londra dovrà tornare a librarsi nel commercio planetario, sottraendosi ai lacci dell’Ue e soprattutto ai pagamenti delle quote previste dal Budget dei Ventotto.
La consapevolezza che per l’economia britannica l’accesso al single market è essenziale comincia a consolidarsi. Tutto ciò non basta per dire che Londra stia calando la maschera e sia già pronta a scendere a patti, ma i segnali di crisi nel fronte brexiters si moltiplicano. Il ministro degli Esteri Boris Johnson è da due giorni al centro di accese polemiche dopo aver dichiarato – secondo quanto risulta - di non essere contrario alla libera circolazione dei cittadini Ue. Lo avebbe detto nel corso di un incontro con quattro ambasciatori, precisando che era una sua visione personale e non la linea dell’esecutivo. Sollecitato sul punto, Boris Johnson ha ieri corretto il tiro con un’imbarazzante marcia indietro rispetto, almeno, a quanto i diplomatici avevano fatto sapere.
Una querelle che ha creato imbarazzo nel governo, soprattutto fra i falchi brexiters, in queste ore di rinnovata polemica per l’alto numero di lavoratori Ue e immigrati extra comunitari che continuano ad affluire nel regno. L’ultimo rilevamento fissa in 335 mila il numero netto (sottratti i cittadini britannici espatriati) arrivati di recente in Gran Bretagna.